giovedì 27 agosto 2015

L’approccio perdente di Padoan

La prima. Apparentemente sembra ragionevolissima la tesi di Padoan: per ridurre le tasse occorre ridurre anche le spese dello Stato. Invece è perdente. Infatti, si possono aumentare gli introiti dello Stato anche eliminando alcune tasse e diminuendo le aliquote. Basta che le imprese e le persone comincino a guadagnare molto di più. In questo caso, anche con aliquote più basse si incassano più soldi.
Ma è possibile farlo?
E qui arriva la seconda ragione per la quale scrivo che l’approccio Padoan è perdente. L’economista medio (e Padoan è tale) pensa che i guadagni delle imprese e, quindi, delle persone dipendano dai trend macro economici. Se siamo in crisi non aumenteranno, se lo sviluppo è alto e forte, invece sì! Partendo da questo punto di vista, però, vista la situazione attuale, prima che le imprese e le persone riescano a guadagnare molto di più … campa cavallo. E campa molto a lungo, per un tempo che rischia di diventare quasi eterno.
Ma l’ecomomista medio si sbaglia di grosso. La crisi complessiva è solo e soltanto la somma delle crisi dei sistemi d’offerta delle imprese: fanno cose che interessano sempre meno e le producono (soprattutto in Paesi come la Cina) in quantità e modalità tali da essere completamente incompatibili con la Natura.
Che fare? La risposta è semplice e di applicabilità immediata: rilanciare la progettualità strategica delle imprese perché rinnovino radicalmente i loro sistemi d’offerta. Producano delle cose che diventino segni della nuova società prossima ventura. Come erano segni di una nuova società i prodotti delle imprese che hanno costruito il nostro miracolo  economico e come lo sono anche oggi i prodotti delle imprese che producono molta cassa. Quella con la quale si pagano sia le persone sia le tasse.
Ma le classi dirigenti si rifiuteranno anche solo di ascoltare questa prospettiva perché dovrebbero acquisire risorse cognitive di cui non dispongono: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. E le classi dirigenti attuali non hanno tempo per fare cose inutili come imparare. Il loro tempo è assorbito dallo sforzo di rimanere classe dirigente. E che il mondo che dirigono vada pure alla malora. Meglio dirigere un mondo che si spegne che rischiare di costruire un nuovo mondo dove magari il ruolo di classe dirigente perde di senso.


venerdì 21 agosto 2015

Un progetto di sviluppo per l’Africa

di
Francesco Zanotti

E’ inutile che ci giriamo intorno. Dobbiamo per forza di cose far si che si generi un Progetto di Sviluppo dell’Africa. Uso il verbo “generare” perché deve emergere dal basso. E soprattutto deve nascere dalle nuove generazioni. Le metodologie per attivare progettualità sociale ci sono. Se i Politici non le conoscono che si informino.
Se la definizione del Progetto di Sviluppo avviene dal basso, la sua realizzazione è garantita.
I soldi? Ce li metta la BCE. Meglio stampare moneta per costruire sviluppo piuttosto che per sostenere il valore di titoli che nessuno sa esattamente cosa contengono. E sarebbero soldi che tornerebbero certamente indietro perché si investirebbe sulla gioventù di un intero continente.
Troppo semplice? Troppo. No! Semplice, per fortuna, sì!

Impossibile da realizzare? Forse, ma se così sarà, la colpa sarà solo della colpevole ignoranza delle classi dirigenti.

mercoledì 19 agosto 2015

Grecia: la grande mossa degli aeroporti

di
Francesco Zanotti


Come i giornali raccontano, la Grecia darà in concessione ad una società tedesca 14 suoi aeroporti. Potrebbe sembrare quasi una violenza, un sopruso della grande Germania verso la diseredata Grecia. Ma a me sembra un’altra vittoria di una Grecia maestra nel fare le scarpe (lo so, ci andava una espressione più colorita, ma soprassediamo) ad ogni feroce vincitore.

Pensate: sono riusciti a scucire un miliardo e qualcosa ai tedeschi che per quarant’anni dovranno investire per mantenere funzionanti (alla tedesca) 14 aeroporti senza neanche sapere cosa questo vorrà dire e che margini permetterà. Detto diversamente. Esborso certo per investimenti e ricavi dei prossimi quarant’anni che oggi non sono neanche immaginabili. Certo se tutto rimanesse così, i tedeschi avrebbero fatto un affare. Ma chi, se sano di mente, scommetterebbe sul fatto che nei prossimi quarant’anni non cambierà nulla?

sabato 15 agosto 2015

Grecia: una domanda “ingenua”.

di
Francesco Zanotti



Tutto sembra sistemarsi: tanti soldi in cambio di tanti sacrifici e tante riforme. E con questo si pensa che la crisi potrà essere risolta una volta per tutte.
Ma, ecco la domanda ingenua: se è così, perché qualcuno dovrebbe opporsi? E, se non è così, perché i telegiornali oggi, Ferragosto, non lo dicono? Perché non danno spazio a voci alternative?

Ve ne sono almeno due importanti. Così opposte che il fatto di trovarle unite lascia molto da pensare. Poi c'è la nostra che suggerisce una soluzione alternativa …

La prima voce importante è quella dei dissidenti del partito di Tsipras che giudica insostenibili i sacrifici. E potrebbe sembrare la voce dei soliti “comunisti” velleitari.
Ma ad essa si affianca la seconda voce importante: quella dell’FMI che giudica insostenibile il debito greco. Anche l’FMI è fatto di comunisti velleitari?

Ed arriviamo alla nostra. Esso dà ragione sia ai “contestatari” di Tsipras, sia all’FMI perché individua una proposta.
La Grecia riuscirà a pagare il debito e a far vivere bene la sua gente se e solo se le imprese elleniche aumenteranno di molto la loro capacità di generare cassa.
Aumentando la capacità di generare cassa aumenteranno contemporaneamente sia il tenore di vita che l’ammontare complessivo di tasse per pagare i debiti.
Ma come far sì che le imprese greche aumentino e di molto la loro capacità di generare cassa? I nostri lettori la risposta la sanno già: occorre una nuova stagione di progettualità strategica. E per attivarla occorre fornire agli imprenditori greci nuove conoscenze e metodologie di progettualità strategica. Insomma, soldi più conoscenze è la soluzione. Soldi senza conoscenza significa buttarli ed illudere.
Ma chi volete che ascolti questa proposta? Verrà, almeno discussa, probabilmente, solo dopo che sarà evidente che la strada intrapresa non funziona. Le classi dirigenti vogliono che si paghi il prezzo di qualche tragedia prima di ammettere che sono troppo carenti di risorse di conoscenza per capire cosa accade.

giovedì 13 agosto 2015

Rivoluzione digitale? Ma siamo sicuri di sapere …

di
Francesco Zanotti


Ma siamo sicuri di sapere che cosa sia veramente?
In estrema sintesi la rivoluzione digitale è il tentativo di descrivere tutto il mondo (oggetti, attori, azioni etc.) con sequenze di due valori (zero e uno; oppure vero e falso: oppure aperto e chiuso) che, poi, si possono manipolare. E’ ovvio che la digitalizzazione (quel trasformare tutto in sequenze di due valori) è utile. Anzi, è utilissimo: permette di fare cose straordinarie che prima non erano possibili.
Ma è una rivoluzione limitata.
Pensate al Settecento e all’Ottocento. Abbiamo vissuto la rivoluzione meccanica. Abbiamo vissuto una sorta di rivoluzione degli ingranaggi: la macchina (l’orologio e i suoi ingranaggi) era la metafora con cui si cercava di descrivere tutto. Cervello compreso. Ma la macchina non era tutto e oggi fa ridere quell’ingenua ambizione di “ingranaggiare” tutto.
Oggi è la rivoluzione digitale sembra tutto il mondo, ma non lo è.
Con il computer (che è la macchina che manipola le sequenze di zeri ed uno) si possono fare un sacco di cose, ma non se ne possono fare moltissime altre. Se ci si prova le si fa in modo distorto. Tanto distorto. Non voglio rifermi a cose note: il computer non sa dipingere la Gioconda. Perchè troverei qualcuno che mi dice: dai tempo al tempo e vedrai.
Voglio fermarmi ad una cosa piccola piccola che ha un grande significato: il computer non riconosce e non sa manipolare numeri come √2 (la radice quadrata di due). Dobbiamo fornirgli una sua approssimazione. E che male c’è? Nulla! E’ che scegliendo quale approssimazione, noi scegliamo un tipo di mondo rispetto ad un altro. Pensiamo che il computer simuli la realtà? Simula la realtà che gli abbiamo dato noi. E lo fa in modo molto semplicistico perché lui capisce e si esprime solo con due caratteri e lo fa mettendoli in fila.
Non ci sono pennellate di vita. E tanto meno vi saranno macchine di Touring (i computer che oggi digitalizzano sono solo macchine di Touring) non dipingerennao mai Gioconde. E neanche capiranno la radice quadrata di due.



domenica 9 agosto 2015

Giavazzi, matematica, merito, poesia, economia e politica. Ovvero: “Cicero pro domo sua”

di
Francesco Zanotti



E’ tempo di vacanze, lasciamo per oggi politica ed economia. E dedichiamoci alla conoscenza: la matematica e la poesia, in questo caso. Anche se poi alla politica ed all’economia finiremo per tornare.
La matematica, per prima.
Nel settimanale del Corriere “La lettura”, Francesco Giavazzi presenta un libro del matematico Gabriele Lolli: “Numeri”.
Bel libro. Purtroppo presentato male e con lo stile “Cicero pro domo sua”.
Presentato male perché si ha in testa di portare acqua ad un certo mulino (un po’ più concreto della casa di Cicerone che è concreta solo per chi frequenta il liceo) : la misura del merito. Si pensa di fare un’opera apologetica nei confronti della matematica, ma la si presenta solo molto parzialmente. E proprio perché si vuole portare acqua a quel certo mulino.
La si presenta molto parzialmente perché si ha mente solo la matematica come “calcolo”. E si tralasciano almeno due fatti rilevantissimi. Il primo è il fatto che la matematica sia anche strutture, come chiaramente dice Lolli (cap. V: Dai numeri alle strutture). Il secondo è che la matematica sia una creazione continua, anche solo fermandosi al tema dei numeri, come scrive Lolli alla fine del suo libro “La creazione dei numeri dunque continua”.
Ed arriviamo al mulino che, per altro, non c’entra nulla con la matematica. E tutto con la fisica.

Alla fine, la tesi di Giavazzi è che il nostro Paese non è adatto alla matematica perché il nostro Paese avrebbe una “… avversione riguardo al rigore, a un pensiero lineare e sintetico, preferendo un approccio approssimativo e poco attento.”. e no  essendo adatto alla matematica non è adatto a valorizzare il merito.
Innanzitutto, credo che questa sia una delle frasi meno “rigorose” che abbia sentito.
Solo un esempio “lineare”: che significa? Il pensiero lineare è un pensiero troppo semplice per descrivere realtà complesse. Le equazioni che descrivono fenomeni appena un po’ complessi sono non lineari. Quindi; abituiamoci e pensieri non lineari … Come oramai tutti sono convinti si debba fare.
Ma arriviamo al tema chiave, al mulino. “Una società che ha tanto in disprezzo il merito, non può amare i numeri.” Scrive Giavazzi. E a supporto cita una Frase di Lord Kelvin che sostiene che si conosce sono quando si può esprimere la conoscenza in numeri. Cioè quando la si misura.
L’arrivare al merito sembra un salto logico, ma non è così. Provate a rileggere l’articolo dal punto di vista del mulino … “a me interessa affermare il valore del merito (questo è il mulino). Per attuare questo valore è necessario saper misurare il merito.  Solo chi ama la matematica capisce queste cose. Oggi non le si capiscono perché non si conosce la matematica.”.

Allora cominciano a vedere quanto sta in piedi questo pensiero.

domenica 2 agosto 2015

Inutilità del Post-moderno? E la Grecia?

di
Francesco Zanotti
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Che c’entra la Grecia col post-moderno? Lo vedrete.
Cominciano dal postmoderno. Il riferimento è ad un pezzo di Carlo Bordoni su “La lettura”, supplemento domenicale del Corriere, di questa settimana dal titolo “L’inutilità del post-moderno”. Egli sostiene, appunto che si è trattato di frivolezze inutili. Mi scuso innanzitutto con l’autore se il mio tono apparirà un po’ polemico. Ma sono i limiti della mia generazione, formatasi nel contestare. Speriamo che i giovani sappiano superare questi limiti. D’altra parte anche Carlo Bordoni usa la strategia retorica della polemica (anche forte) giudicando inutile un movimento culturale a cui molti e degni hanno dedicato la vita.
Dunque il post moderno. Non nasce come l’Autore sostiene con il manifesto di Lyotard della fine degli anni settanta.
Nasce con la pubblicazione di una serie di articoli di un oscuro funzionario dell’ufficio brevetti di Berna: tale Albert Einstein. Quegli articoli (uno addirittura gli fruttò il Nobel) diedero vita alla teoria della relatività ed alla fisica quantistica (meccanica quantistica, prima, e teoria quantistica dei campi, dopo). Forse si potrebbe addirittura risalire alla scoperta delle geometrie non euclidee nel 1800.
Non è certo questa la sede per fare una sintesi di fisica quantistica e relatività. Ma è possibile, almeno, citare tre concetti che hanno rivoluzionato (questo sì per sempre) il moderno. Il primo è il ruolo costruttivo dell’osservatore. Non soggettivo, interpretativo come diranno i filosofi post-moderni. II secondo è quello di vuoto quantistico come ontologia di fondo del mondo. Il terzo è la scoperta che non solo un osservatore costruisce il mondo, ma lo fa in un modo suo specifico (tecnicamente, mi riferisco alle rappresentazioni non equivalenti).
Poi è venuto il post moderno di cui parla Bordoni. Ma molto dopo. E non con questa profondità. Perché Derrida e soci si sono fermati a metà strada nella contestazione del moderno. Ed è accaduto proprio perché non hanno guardato ai veri fondamenti del post-moderno.
Oggi il nostro compito è quello di completare il superamento del moderno in una nuova visione del rapporto tra uomo e mondo.
I tre concetti che hanno rivoluzionato il moderno non sono solo filosoficamente decisivi, ma ce li portiamo in tasca e li usiamo ogni giorno. Tutt’altro che superati, quindi. E’ possibile usare sistemi Gps solo perché esiste la teoria generale della relatività. Siamo riusciti a costruire computer, telefonini e quant’ altro perché abbiamo “scoperto” la fisica quantistica.
Naturalmente non c’è solo la fisica, c’è la biologia con Maturana e Varela, c’è la sociologia con Luhmann nell’ambito del post-moderno.
E la Grecia? Il problema della Grecia e, più in generale dello sviluppo, è che il pensiero economico che guida le scelte della politica è rimasto al “moderno”.
Poi, l’autore mi scuserà, per l’accento polemico: ma che c’entra Berlusconi e il “drive in” col postmoderno? Lasciamolo stare Berlusconi e parliamo di cose più serie E, poi, perché demonizzare il “Drive in”, attribuendogli una profondità che non voleva avere e che tutti quelli della mia generazione hanno guardato con piacere?