di
Francesco Zanotti
.. volgo disperso che nome non ha.
Qualcuno forse ricorda il coro che chiude l’atto terzo dell’Adelchi.
Racconta di un popolo che guarda il succedersi dei padroni: i longobardi che vengono scacciati dai franchi.
Ma il popolo è un “volgo disperso che nome non ha” a cui è rimasto “il misero orgoglio di un tempo che fu”.
Non si aspetti la liberazione:
“Il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D’un volgo straniero por fine al dolor?”
Anche oggi stiamo assistendo al conflitto tra classi dirigenti. E da ogni nuova classe dirigente ci aspettiamo liberazione.
Da quei tempi ad oggi non è possibile che questo accada.
Ammonisce Manzoni:
“Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.”
Per costruire liberazione, per noi e per tutti quelli che bussano alle nostre parti, dobbiamo riprendere la voglia di un protagonismo progettuale alto, forte e saggio.
Con la voglia e la responsabilità di costruire il Rinascimento prossimo venturo attraverso la conoscenza.
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