mercoledì 14 gennaio 2015

Dum Romae consulitur Made in Italy expugnatur

di
Cesare Sacerdoti



Da anni la nostra industria si culla sul privilegio del Made in Italy come garanzia di superiorità in qualità, stile, design ecc.; da tempo, per contro, diciamo, in queste pagine, che prima o poi tanti altri “made in” si affermeranno sul mercato mondiale e che in assenza di progetti strategici il nostro made in Italy rischia di perdere valore e di non poter più essere il fattore competitivo su cui costruire il futuro della nostra industria.

In questi giorni a Milano girano mezzi pubblici con la pubblicità del “Thai Trust Mark”: suona quasi come una beffa. Il marchio di qualità dei produttori di uno di quei Paesi che noi consideriamo come subfornitori delle nostre aziende o, peggio ancora, come produttore dei “falsi” che minacciano il nostro made in Italy.
Andando sul sito vedo che “ The THAILAND TRUST MARK is endorsed by the Department of International Trade Promotion of the Royal Thai Government” e che le aziende che possono fregiarsi del marchio sono meno di 500. 

Nulla in confronto al lungo elenco di aziende dotate di certificazione 100% made in Italy riportato dal sito dell’Istituto per la tutela dei Produttori Italiani. Tra l’altro, quanti di noi conoscono il marchio qui a fianco? 

Leggo in un articolo del 3 gennaio su www.Osservatoriomadein.it che “la Ue non si è data finora un apposito regolamento a tale riguardo, benché fosse stato proposto nel 2005 dalla Commissione di Bruxelles e debitamente approvato dal Parlamento. Ma le relative disposizioni non hanno mai trovato concreto riscontro nell'ambito del Consiglio europeo. E ciò per l'opposizione della Germania, affiancata peraltro da gran parte dei paesi del Nord” il che vuol dire che nel titolo di questo post dovrei sostituire Roma con Bruxelles, ma la sostanza non cambia. Se la strategia di sviluppo dell’economia del nostro Paese passa per il “made in Italy”, nuvole molto grigie si addensano sul nostro futuro.

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