domenica 14 dicembre 2014

Il cervello non “funziona” come un computer

di
Francesco Zanotti


Su Nòva 24 stamattina vi è un articolo “futurista” intitolato La metamorfosi del professionista che ripete una litania antica che sta ridiventando di moda: il computer che piano piano, andrà a sostituire l’uomo.
Per fortuna appena sotto c’è un articolo di Federico Faggin il cui titolo è lapidario: Il cervello non è un computer. Ecco occorre sapere che l’opinione di Faggin non è una ... opinione. Ma è una certezza da almeno 70 anni.
Si parte da Godel che aveva dimostrato che ogni sistema formale “lineare” (una deduzione dopo l’altra) non può essere contemporaneamente completo e coerente. Si arriva (subito dopo) a Turing che ha progettato una macchina che fa praticamente una cosa dopo l’altra. Ed ha “scoperto” la validità del teorema di Godel: non si è mai certi che un programma (un insieme di istruzioni da far eseguire a quella macchina) sia “completo e coerente”. Cioè: non si è certi che non finisca ad “oscillare” tra operazioni che si auto contraddicono. Si chiama: problema dell’alt.
Tutto questo significa che non è desiderabile che il cervello sia un computer. Rischierebbe in ogni momento di finire in loop senza fine …
Ma oltre a non essere desiderabile non funziona proprio così. Lo dimostrano ad ogni passo le neuroscienze.
Allora il computer andrà a sostituire l’uomo nelle attività “calcolabili”. Cioè quelle che possono essere eseguite attraverso un insieme di operazioni elementari una dopo l’altra e indipendenti l’una dall'altra. E sarà sempre un insieme di attività “limitate” e “sperimentate”. Cioè ha senso pratico far eseguire ai computer programmi che si è certi (e questo è possibile solo relativamente a programmi banali) il computer eseguirà senza fare casini.
Il computer sarà sempre e solo uno strumento di utilizzo vastissimo, ma limitato a determinate attività.
Forse si potrà costruire un cervello artificiale. Ma non sarà un computer, sarà un cervello umano che non potrà nascere per assemblaggi industriali, ma solo attraverso un processo di emergenza. E, per farlo, occorrerebbe avere una teoria dell’emergenza che, io credo, finirà per essere una teoria dell’evoluzione.



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