di
Francesco Zanotti
Ho un amico molto più giovane di me, anche se non giovanissimo, che è costretto a venire a patti, sul lavoro, con un signore della mia generazione (i più giovani dei sessantottini) che è solo pretese, prosopopea e ... il nulla. Purtroppo il problema non è solo questo signore, ma il fatto è, mediamente, generalizzabile. Vale per tutta una classe dirigente. Siamo una generazione che dalla voglia di cambiare il mondo è finita o nella disperazione o nelle pretese, nella prosopopea e … nel nulla. Forse abbiamo raggiunto qualche risultato? Molti di noi risultati personali di soldi e di potere. Ma se guardate il mondo dove stiamo costringendo a vivere i giovani, questi “risultati” diventano il racconto di un egoismo e di una povertà incredibile.
E’ banale dire che la mia generazione se ne deve
andare a casa.
Non basta! Essa ha il dovere del riscatto. Ecco dove
è possibile. Innanzitutto occorre che tutti coloro che hanno raggiunto una
certa età si rifiutino di assumere incarichi di gestione operativa. E’ ridicolo
un Amministratore Delegato o un presidente del Consiglio con più di sessant’anni.
Poi occorre che scoprano la loro vera e indelegabile
responsabilità: quella della conoscenza e, conseguentemente, della saggezza.
Siamo di fronte al finire della società
industriale e non siamo in grado di immaginarne un’altra. La causa è che
cerchiamo di farlo usando la visione del mondo tipica della società
industriale. Ma quale altra è possibile? Tocca a noi “anziani” costruire una nuova
visione del mondo, usando tutta la conoscenza disponibile ed affidarla ai
giovani perché la usino per costruire la società che desiderano.
Sto immaginando una forma nuova ed antica di
dialogo intergenerazionale. I giovani che sperimentano la vita e le persone più
mature che osano la conoscenza.
Concretizzando: accanto ad ogni Amministratore
delegato e ad ogni Presidente del Consiglio sieda un Presidente della
Repubblica o un Presidente del Consiglio d’Amministrazione che sia dotato dell’autorevolezza
della conoscenza. Che insegni e non agisca. Che ispiri, ma non condizioni. Sono
i giovani che devono sentire il desiderio della nostra parola. Non siamo noi
che dobbiamo cercare di imporla con un potere che possediamo, dopo tutto,
ingiustamente.
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