di
Cesare Sacerdoti
c.sacerdoti@cse-crescendo.com
Oggi per i cristiani cattolici si
festeggia la Pentecoste, irruzione del Cielo sulla Terra in cui “tutti furono
colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in
cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (Atti degli Apostoli 2, 1-11). San Paolo,
commentando l’avvenimento, sottolinea che “A ciascuno è data una manifestazione
particolare dello spirito per il bene comune" (1 Cor 12, 7).
Questa frase mi richiama l’articolo 4 comma 2 della
Costituzione Italiana: “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le
proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che
concorra al progresso materiale o spirituale della società”
Trovo straordinario come i due scritti, seppur a distanza di
quasi due millenni e partendo da logiche e presupposti molto diversi, giungano
entrambi a richiedere a ogni persona di contribuire, secondo le proprie
caratteristiche, alla costruzione di un bene comune che non può essere
immediato e statico, ma che deve progredire tenendo conto anche delle
generazioni future.
E lo strumento per la costruzione di questo bene comune è il
lavoro, il nostro lavoro di tutti i giorni, quello dei lavoratori, degli
artigiani, dei manager, dei professionisti, dei casalinghi, degli imprenditori,
degli studiosi, dei religiosi e dei politici, ma, anche se in modo diverso,
anche degli studenti e dei pensionati.
Allora il lavoro si arricchisce di una responsabilità, non
solo verso il fruitore diretto del proprio operato (datore di lavoro o
“cliente”), non solo verso se stessi e la propria dignità, ma anche verso la
collettività, presente e futura.
Ma se così è, ne consegue che ciascuno di noi è chiamato a
partecipare alla creazione del mondo attuale e futuro, perché, come dice
Zagrebelsky “il lavoro è anche compimento della persona, della sua capacità
creatrice, quasi compartecipazione all'opera del Creatore” (da: Fondata sul
lavoro, Einaudi 2013).
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