lunedì 23 aprile 2012

Francia: l’insensatezza di una campagna elettorale

di
Francesco Zanotti


Ieri sera sentivo da tante parti eminenti commentatori discutere delle strategie più opportune per i candidati che si scontreranno domenica nel ballottaggio in Francia. Più ascoltavo, più emergeva profondo un senso di insensatezza profonda.
Non so se riesco ad andare con ordine, tanto è … sì, la tristezza per una competizione insensata. Ci provo.

Innanzitutto dovrebbero almeno fare questi discorsi di nascosto. Ma ci rendiamo conto cosa stiamo accettando come “normale”? Il fatto che tutti i discorsi che  faranno i due candidati da qui alla data del ballottaggio delle elezioni saranno strettamente strumentali, finalizzati a battere l’avversario. Si studieranno discorsi finalizzati a raccogliere il consenso di certe parti della popolazione, si farà dire ai candidati quello che questi elettori si vogliono sentir dire.
Ma è assurdo: i cittadini devono aspettarsi che i candidati dicano che tipo di Francia vogliono. Come faranno i cittadini in futuro a credere ai discorsi di leader che sono disposti a sostenere tutto e il contrario di tutto pur di conquistare qualche voto?

Ma poi, il candidato che vincerà avrà escluso, avrà combattuto una parte delle istanze del popolo francese. Ora dobbiamo metterci in testa che, in una società complessa, le istanze che emergono dalla società sono tutte profetiche. Sono proprio come le profezie, anche oscure e imprecise, ma sono anche alte e forti. Quale è il ruolo di un leader? Quello di far emergere tutte le profezie nascoste e sintetizzarle in un progetto di società. Il combattere una campagna elettorale impedisce che oggi e nel futuro questo tipo di leadership possa realizzarsi.

1 commento:

  1. Ciao Francesco.
    Tu dici: "Ma ci rendiamo conto cosa stiamo accettando come “normale”?
    Il fatto che tutti i discorsi che faranno i due candidati da qui alla data del ballottaggio delle elezioni saranno strettamente strumentali, finalizzati a battere l’avversario."
    Lo accettiamo come "normale" perché il paradosso della competizione prevale - senza concorrenti - nelle comunicazioni della nostra epoca.
    Tanto che oggi anche i più pallidi professori d'economia trascurano la riflessione sulla contabilità (ma quanti saranno gli esodati?) per sacrificare al dio della competizione: tutti kamikaze per competere con i cinesi? Davvero un eccellente business model per un paese di creativi!
    Così, guardando con il solo occhio della competitività (internazionale e non), tenendo ben chiuso quello partecipativo, si perde la profondità di campo e si va fuori strada.
    Gianni Rizzi

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