domenica 11 settembre 2016

Facciamo un tavolo. Ovvero, le speranze dei falegnami

di
Francesco Zanotti

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Quando non si sa cosa fare, si fa un tavolo. L’ultimo: facciamo un tavolo per cambiare l’Italicum. Non sembri al lettore una battuta di terz’ordine, ma gli unici che hanno qualche probabilità di trarre qualche beneficio da questi tavoli sono gli eventuali falegnami incaricati di farli nel vero senso della parola. Che da un tavolo nasca una progettualità alta e forte è escluso! Esclusissimo.
La ragione sono è tanto semplice quanto forte: oggi un tavolo diventa una piazza. Dalla quale parlare a quelli che non stanno seduti introno al tavolo. Ed allora il tavolo diventa cacofonia, invece che progettualità.
Come si potrebbe avviare un tavolo progettuale? Occorrerebbe che i partecipanti iniziassero con l’acquisire nuove risorse cognitive che li rendano capaci di relativizzare le loro ideologie e leggere con più autenticità le proposte degli altri e le voci nella società. Poi occorrerebbe che chi governa il tavolo sia esperto di processi di sintesi. Ovviamente deve disporre di un meta sistema di risorse cognitive …
Discorso troppo complicato? Forse. Ma se non vogliamo farlo, allora accettiamo di vivere solo in un mondo di battute di terz’ordine. Dove queste battute diventano l’unica area di speranza. Nel caso dei tavoli davvero l’unico beneficio sarà per i falegnami che li costruiscono.


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