di
Francesco Zanotti
Non ho resistito alla tentazione di riprendere
il tema. L’articolo di Roger Abravanel sul Corriere di ieri è una occasione
troppo ghiotta.
L’Autore mi scuserà se uso la tecnica retorica della
polemica. Ma non ha nulla di personale, ed è molto efficace in questi casi.
Soprattutto sono due i punti che mi hanno
stimolato alla polemica.
Il primo, quando afferma che da tempo i migliori
sistemi educativi del mondo hanno spiegato a cosa serve la scuola del nuovo
millennio: “Serve a formare le competenze del XX secolo”. E quali sarebbero?
Eccole “Imparare a ragionare con la propria testa, avere spirito critico,
risolvere problemi e impegnarsi a fondo, innovare e migliorare, comunicare e
interagire, soprattutto in team.
Con tutto il rispetto sembra il catalogo di un
formatore aziendale di seconda categoria, non i contenuti che deve veicolare la
scuola del nuovo millennio. Come tutti i contenuti di quel catalogo sono solo
slogan e non competenze. Solo qualche esempio: imparare a ragionare con la
propria testa. Ma tutti e sempre ragionano con la propria testa: che altro
potrebbero fare? Caso mai il problema consiste nel fatto che i processi di
sviluppo del sistema di risorse cognitive (non competenze) di una persona non
generino una chiusura autoreferenziale.
Un secondo esempio: “risolvere problemi”. Oggi
abbiamo bisogno di persone che progettino, socialmente, nuovi mondi. Che è come
dire: persone che sappiano generare opere d’arte sociali. Sono attività cognitive
radicalmente diverse dal “risolvere problemi”. L’Autore certamente ricorda l’illusoria
ricerca del General Problem Solver, obiettivo della nascente Intelligenza artificiale
nel dopo guerra.
Si potrebbe continuare con le altre “competenze”
citate dall'Autore nella frase che ho riportato. Ma preferisco, per non
scrivere un post troppo lungo, fare un’altra citazione: “.. la scuola italiana
non insegna a sufficienza queste competenze”. Il mio commento: ma le competenze
non si possono “insegnare”, occorre farle emergere.
Come conclusione suggerisco due letture che potrebbero
aiutare gli insegnanti (ma perché la
buona scuola non la possono progettare loro?) alla ricerca di una nuova scuola.
Il primo è il capitolo del Libro “Il senso
ritrovato” (di Ervin Laslo e Pier Mario Biava), scritto da Monica Centanni dal
titolo “Il cambio di paradigmi e di percezione del tempo dalle grammatiche
classiche al nostro presente”.
Secondo è il libro di Roberto Mangabeira Unger e
Lee Smolin “The singular universe and the reality of time” che tratta di un
altro linguaggio: la matematica. Che c’entrano questi due riferimenti con la
buona scuola? C’entrano perché il progettare nuovi mondi necessita di nuovi
linguaggi.
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