domenica 15 marzo 2015

Scuola: ultima puntata … forse

di
Francesco Zanotti


Non ho resistito alla tentazione di riprendere il tema. L’articolo di Roger Abravanel sul Corriere di ieri è una occasione troppo ghiotta.
L’Autore mi scuserà se uso la tecnica retorica della polemica. Ma non ha nulla di personale, ed è molto efficace in questi casi.
Soprattutto sono due i punti che mi hanno stimolato alla polemica.
Il primo, quando afferma che da tempo i migliori sistemi educativi del mondo hanno spiegato a cosa serve la scuola del nuovo millennio: “Serve a formare le competenze del XX secolo”. E quali sarebbero? Eccole “Imparare a ragionare con la propria testa, avere spirito critico, risolvere problemi e impegnarsi a fondo, innovare e migliorare, comunicare e interagire, soprattutto in team.
Con tutto il rispetto sembra il catalogo di un formatore aziendale di seconda categoria, non i contenuti che deve veicolare la scuola del nuovo millennio. Come tutti i contenuti di quel catalogo sono solo slogan e non competenze. Solo qualche esempio: imparare a ragionare con la propria testa. Ma tutti e sempre ragionano con la propria testa: che altro potrebbero fare? Caso mai il problema consiste nel fatto che i processi di sviluppo del sistema di risorse cognitive (non competenze) di una persona non generino una chiusura autoreferenziale.
Un secondo esempio: “risolvere problemi”. Oggi abbiamo bisogno di persone che progettino, socialmente, nuovi mondi. Che è come dire: persone che sappiano generare opere d’arte sociali. Sono attività cognitive radicalmente diverse dal “risolvere problemi”. L’Autore certamente ricorda l’illusoria ricerca del General Problem Solver, obiettivo della nascente Intelligenza artificiale nel dopo guerra.
Si potrebbe continuare con le altre “competenze” citate dall'Autore nella frase che ho riportato. Ma preferisco, per non scrivere un post troppo lungo, fare un’altra citazione: “.. la scuola italiana non insegna a sufficienza queste competenze”. Il mio commento: ma le competenze non si possono “insegnare”, occorre farle emergere.
Come conclusione suggerisco due letture che potrebbero aiutare gli  insegnanti (ma perché la buona scuola non la possono progettare loro?) alla ricerca di una nuova scuola.
Il primo è il capitolo del Libro “Il senso ritrovato” (di Ervin Laslo e Pier Mario Biava), scritto da Monica Centanni dal titolo “Il cambio di paradigmi e di percezione del tempo dalle grammatiche classiche al nostro presente”.

Secondo è il libro di Roberto Mangabeira Unger e Lee Smolin “The singular universe and the reality of time” che tratta di un altro linguaggio: la matematica. Che c’entrano questi due riferimenti con la buona scuola? C’entrano perché il progettare nuovi mondi necessita di nuovi linguaggi.

Nessun commento:

Posta un commento