domenica 9 novembre 2014

Big Data e … utilizzo travisato

di
Francesco Zanotti


I Big Data sono un argomento di moda, forse non solo tra gli specialisti.
Ma rischiano di riprodurre l’eterna illusione che esista il punto di vista di dio.
La fiducia nei Big Data riproduce l’illusione di Laplace: se conoscessi posizione momento di tutte le particelle dell’Universo …
Oggi sulla Domenica del Sole 24 Ore leggo la presentazione di un libro di Dario Antiseri e di Adriano Soi dal titolo Intelligence e metodo scientifico che rappresenta l’ennesima versione di questa illusione. Premetto, per correttezza, che non ho letto il libro: ne ho conosciuto l’esistenza solo stamattina. Quindi le mie osservazioni riguardano la presentazione di Angelo Maria Petroni.
Credo che tutto si concentri nella sintesi del pensiero degli autori che fa Petroni e che cito: “… sottolineano come il metodo scientifico sia unico e si applica tanto alla ricerca nel mondo della natura quanto all'interpretazione (ermeneutica) del mondo umano.”. La tesi insomma è che esiste una ermeneutica oggettiva. Ed è la stessa tesi di coloro che parlano di Big Data.
Questa sintesi, viene poi spiegato, e cito uno degli obiettivi che si affida ad una interpretazione “oggettiva”: controllare l’esattezza di una traduzione, generare una traduzione esatta.
Credo che queste tesi rappresentino l’asintoto di non sense a cui giunge la presunzione che esista il punto di vista di dio. Si arriva al paradosso. Che è, appunto, rappresentato dalla ermeneutica oggettiva.
Che la ermeneutica sia per definizione soggettiva, credo sia oramai accettato. Ma se proprio si volesse cercare nei metodi della scienza il supporto per cercare, invece, una interpretazione oggettiva, occorrerebbe buttare a mare, almeno, tutta la fisica quantistica. E la matematica post-godeliana. La visione di un metodo scientifico che porta univocamente alla verità e che esista un ragionare assoluto comporta pensare solo come un fisico classico o un matematico hilbertiano. Cioè come uno scienziato a cavallo dell’‘800 e del ‘900.
Secondo voi come si spiega queste esagerazioni vetero riduzionistiche?
Che, poi hanno anche un impatto politico rilevante. Perché gli Autori del libro, come cita Petroni, sostengono che “quale è mai l’operatore di intelligence (l’ermeneuta oggettiva) se non quello di offrire conoscenze al decisione politico?”. E questo rivela una visione troppo banale della politica. Una sola osservazione: il compito del politico non è decidere, ma progettare un futuro che ancora non c’è.


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