di
Luciano Martinoli
Qualche giorno fa su Corsera è apparso un articolo che presentava un indagine sulla generazione dei "nativi digitali", gli adolescenti tra il 2004 e 2009.
Non è mio interesse confutare qui le risultanze dell'indagine ma il metodo.
Su questo tema in particolare, ma anche per altri, questo approccio è troppo a "grana grossa"; il retino che si usa per pescare nella realtà ha maglie troppo larghe, si raccolgono solo luoghi comuni.
I "componenti" (sempre più difficilmente isolabili) della nostra società, in questo caso la generazione 2.0, sono caratterizzati proprio da quella "Libertà", che l'autore riconosce, che consente loro di esprimersi come desiderano.
Le estreme individualità che caratterizzano i comportamenti odierni di tutti noi rendono impossibile riconoscere caratteristiche salienti e comuni a tutti se non le più grossolane e, forse, meno significative. E non c'è tecnica statistica che regga, considerando il sempre più basso grado di ergodicità dei comportamenti umani dimostrato anche recentemente con il flop delle "proiezioni" sulle intenzioni di voto alle ultime elezioni.
Insomma alla fine ciò che ne viene fuori è più una creazione autonoma dello sguardo del ricercatore che la "scoperta" di aver trovato qualcosa di oggettivamente in comune tra gli elementi del campione.
Ci troviamo ancora una volta davanti ad un vecchio approccio, figlio di una cultura che deriva dalla fisica classica, per affrontare un problema nuovo: voler aggiustare il televisore con un martello, come spesso ricorda il mio amico Zanotti.
Non sarebbe ora di dotarsi anche di altri strumenti e più adatti all'ambito nel quale vorremmo intervenire?
Non che il martello sia inutile, anzi, ma pretendere che possa esse utilizzabile per ogni scopo è solo la misura dei limiti mentali dell'utilizzatore.
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