di
Cesare Sacerdoti
Scrutavo le montagne con un buon binocolo
alla ricerca di un rapace che avevo visto ad occhio nudo.
Il punto di osservazione era molto buono:
avevo sotto di me una buona parte di una valle che conosco bene; con il
binocolo potevo apprezzare particolari che non avevo mai notato, ma non
riuscivo più ad individuare il rapace, le cui traiettorie erano molto ampie. Lo
strumento visualizzava di volta in volta piccole fette di quella vallata, ma
perdevo la visione di insieme, quella visione che mi avrebbe permesso di
individuare un piccolo movimento rivelatore della presenza del rapace.
Ad un certo punto la mia attenzione è
stata attratta da un sentiero che non avevo mai notato e che si arrampicava con
stretto zigzagare fino a un muro roccioso: non riuscivo a capire a cosa servisse
un sentiero che di fatto non portava da nessuna parte. Messo da parte il
binocolo mi sono reso conto che il sentiero portava alla cima di una montagna e
che il muro roccioso apparteneva a un altro monte posteriore a quello del
sentiero: il binocolo mi aveva fatto perdere il senso della profondità.
Quante volte nel nostro agire guardiamo
il particolare e perdiamo la visione d’assieme e il senso di profondità! E
forse non può che essere così.
Ma allora: che senso hanno le filosofie
prometeiche de “un uomo solo al comando”?
Che visione ha il top manager che costruisce
da solo la strategia? Che strumenti ha il manager che pretende di avere
l’esatta visione di una organizzazione? Che senso ha il politico che ... lui sì che sa come andrebbe strutturata la società?
Da ultimo, che senso ha una ricerca
scientifica attenta solo ad una particolare fetta, sempre più specifica, di
quella parte, già piccola, di universo che noi conosciamo, con strumenti
(fisici e cognitivi) ben più potenti del mio binocolo e con il rischio di
perdere la visione d’assieme del mondo e dell’Uomo e, nel contempo, rischiare
di dare un senso errato all'oggetto della nostra osservazione (il sentiero che
finiva nella roccia)?
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