di
Francesco Zanotti

Oggi sul Sole 24 Ore, in prima pagina, con il titolo
“Quando impresa e cultura parlano la stessa lingua”.
L’Autore vuole fare un omaggio alla cultura e all’impresa, ma fa un pessimo servizio a tutte e due. Se poi si guarda in altri
luoghi dello stesso giornale si trovano punti di vista più interessanti, a
partire dal pezzo di David Lodge in prima pagina dell'inserto “Domenica”.
Cosa c’è che mi sembra fuorviante di quell’articolo?
Innanzitutto si ha l’impressione che fare cultura sia
solo il fare romanzi. Ma forse non era intenzione dell’autore sostenere questa
tesi.
Si sostiene, però, che il ruolo dell’impresa a favore
della cultura è quella di fare interventi (in questo caso organizzare un
premio: Il Campiello) con gli stessi valori e le stessa passione con la quale si
fa impresa.
Mi permetto di sostenere lapidariamente una diversa tesi.
Non solo scrivere romanzi è fare opere d’arte. Anche costruire imprese è fare
opere d’arte. Gli imprenditori, però, non costruiscono imprese opere d’arte
solo perché ricercano la qualità, quello che piace al pubblico, ricercano i talenti etc.
Costruiscono imprese opera d’arte quando hanno voglia di
cambiare il mondo. Ed usano il loro patrimonio cognitivo (la visione del mondo,
i modelli e le metafore di cui dispongono) per costruire una proposta di
cambiamento del mondo.
Il problema è che oggi non riusciamo più a generare
imprese opere d’arte. La mia interpretazione è che il patrimonio cognitivo che
oggi gli imprenditori usano è troppo povero per immaginare e costruire imprese
opere d’arte. Un modo straordinario di fare cultura sarebbe quello di
arricchire il patrimonio cognitivo degli imprenditori. Non fornire solo soldi e
protezioni, ma anche e soprattutto conoscenza. Ad esempio, le conoscenze di
strategia d’impresa. Con queste risorse cognitive riusciranno a fare il primo
passo del processo di generazione di imprese opere d’arte: un Business Plan
emozionante come un Romanzo.
Nessun commento:
Posta un commento