lunedì 11 giugno 2012

Non si può bistrattare così la scienza!

di
Francesco Zanotti

Me la sto prendendo con La Repubblica, in prima pagina. Trascrivo il titolo completo perché lo scandalo sta proprio nel titolo. 
Innanzitutto si fa un torto all’autore: Umberto Veronesi. Quando ho letto il titolo ho pensato: ma come può uno come Veronesi essere adagiato ad uno riduzionismo biochimico così greve? Infatti non poteva: il contenuto dell’articolo è tutto altro rispetto al titolo. Non è un articolo che mi piace perché descrive ancora una ingenua fede in una scienza legata ancora al paradigma della fisica classica. Ma non contiene nessuna delle sciocchezze contenute nel titolo. La cosa non mi sorprende perché i titoli non li fanno gli Autori, ma un titolo così dissonante dal contenuto…
A parte l’italiano un po’ troppo “popolaresco” (L’uomo che verrà più buono), occorre sottolineare che Veronesi parla di DNA, ma in termini assolutamente generali. Io, credo, come dicevo, con qualche tendenza meccanicistica di troppo: “stiamo imparando a riprodurlo”. Lasciando intendere che, imparando a riprodurlo, si possono ottenere tutte le prestazioni, come se le prestazioni del DNA fossero “assolute”, come quelle di una macchina e non contestuali. Ma le sue sono opinioni scientificamente ancora presenti nel dibattito sul senso della scienza, e, quindi, serie, anche se io non le condivido. Ma da qui a dire che si riuscirà a costruire un uomo più buono, ce ne passa. E Veronesi questo proprio non lo dice. Anzi, giustamente, dichiara che oggi “siamo per lo più spiazzati eticamente giuridicamente”.
E’ vero che parla delle nanotecnologie, ma lo fa riportando le idee di Negroponte che esalta le nanotecnologie non per il loro utilizzo (certamente possibile) per modificazioni del DNA, ma per altri usi meno drammatici.
Conclusione: a due livelli.
Prima: davvero i giornali hanno bisogno di mistificare e “scopiazzare” la scienza per vendersi?
Seconda: davvero è il momento di chiederci quale scienza (quindi, quale ricerca, quale tecnologia) per il prossimo futuro. Io credo che la domanda sia ancora più radicale: quale scienza vogliamo “costruire” per l’umanità di domani?

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