venerdì 25 maggio 2012

Una nuova conoscenza per una nuova società …

di
Francesco Zanotti

Il rifiuto del presente e la voglia di un nuovo futuro (mi si lasci dire eticamente giusto ed esteticamente emozionante) sono condizioni mobilitanti. Ma non bastano. Sono risorse che, lasciate sole, rischiano di trasformarsi in rabbia o delusione. Devono essere “sostenute” da una nuova conoscenza. Infatti …

Noi siamo gli occhiali (le griglie) con cui guardiamo al mondo fuori di noi. Gli occhiali che selezionano le cose che possiamo vedere e quelle che ci rimarranno nascoste. Gli occhiali che ci forniscono i criteri per giudicare cosa è possibile ed impossibile.
Noi siamo i linguaggi che sappiamo usare.
Noi siamo le storie (i progetti) cha sappiamo raccontare.

I nostri occhiali, i nostri linguaggi e le nostre storie guidano le nostre strategie e comportamenti verso gli altri e verso la Natura.

Non illudiamoci, però, che i nostri occhiali siano completamente trasparenti: guardiamo gli altri e la Natura con i nostri “colori” specifici.
Non illudiamoci che i linguaggi che conosciamo ci permettano di dire tutto: quando scegliamo un linguaggio selezioniamo quello che potenzialmente possiamo dire.
Non illudiamoci che le storie che abbiamo scritto siano le uniche possibili: esse hanno il colore dei nostri occhiali e sono scritte con i linguaggi che possediamo.

Il patrimonio di occhiali, linguaggi e storie che ognuno di noi possiede evolve, come ogni sistema “complesso”, e le “leggi dell’evoluzione” sono abbastanza semplici: se non lo arricchiamo continuamente, il suo uso continuo diventa ossessivo e tende a sclerotizzarlo. Piano piano, siamo portati a considerare i nostri occhiali, i nostri linguaggi e le nostre storie come gli unici, le uniche “vere”, “belle” e “possibili”.

Da ultimo: siamo noi umani che costruiamo il nostro futuro economico, sociale, politico, istituzionale e culturale. E costruiamo il futuro partendo dal mondo che riusciamo a vedere, scrivendo storie che sappiano scrivere con i linguaggi che conosciamo.

Allora la conclusione è molto semplice. Oggi guardiamo il mondo con gli occhiali della crisi e raccontiamo storie di crisi.

Sempre oggi, però, sono disponibili nuove immense risorse cognitive: sono tutti i modelli e le metafore che hanno “scoperto” sia le scienze naturali (fisica quantistica in testa) che le scienze umane (un esempio per tutti: l’approccio relazionale in psicoanalisi).

Partendo da essi, scopriamo quali sono i fondamenti della società industriale: la visione del mondo di Galileo. E diventa evidente che per riuscire a costruire una nuova società è necessario partire da una nuova visione del mondo. Essa sta emergendo come sintesi di tutte queste nuove conoscenze. E credo si possa definire una visione del mondo “quantistica”.

Usando queste nuove conoscenze e la visione del mondo che le sintetizza, vedremo cieli nuovi e sapremo costruire una nuova terra.

Abbiamo immaginato un Progetto per raccogliere, rendere socialmente disponibili la nuova conoscenza che vive intorno a noi e che non usiamo. E per iniziare un grande processo di progettazione sociale di una nuova conoscenza. Lo abbiamo definito Expo della Conoscenza. Abbiamo costituito una associazione per realizzarlo. Il suo manifesto è scaricabile al seguente indirizzo:
E’ un Progetto che è di realizzabilità immediata, capace di costruire immediatamente sviluppo. Abbiamo iniziato un “Roadshow” per presentarlo in sede istituzionale (Camera dei Deputati, Senato della Repubblica) e presso attori economici e sociali.  Chi ci sta a darci una mano?

1 commento:

  1. Mi par di capire che alla base si pone un problema di conoscenza, che posso dire di condividere. A mio avviso le sue origini affondano in quel modo particolare di intendere il rapporto col mondo inaugurato con l'astrazione di tipo logico-matematico tipica delle scienze. E mi riferisco a tutte le forme di conoscenza che (lo dico semplificando) attingono dal reale alcuni dati, costruiscono con essi un modello logicamente coerente e si applicano ad indagarne le strutture e i rapporti di ogni parte. Tale modello, una volta confermato e verificato che "funziona", viene assunto come spiegazione e strumento di elaborazione/trasformazione della realtà d'origine, la quale paradossalmente viene "modellata" secondo le possibilità, le strutture e le configurazioni consentite dal modello. 
    In questo operare proprio delle forme tecno-scientifiche, non solo si attua una riduzione (ed un progressivo impoverimento?!) della realtà d'origine (la natura e la complessità del mondo), ma c'é anche un'azione filtrante/selettiva all'inizio di ogni conoscenza, per cui il dato reale viene osservato e restituito attraverso le "lenti" dell'astrazione logica propria di ogni particolare scienza: il resto viene espulso, come se non esistesse. Ancora di più: c'é anche un effetto frantumante dell'unità complessa del reale, e di isolamento settorializzante che, rifluendo con enorme vigore da tali spazi astratti delle conoscenze scientifiche, sugli spazi di vita reale delle nostre città e nei territori, crea grovigli intricatissimi e lascia il segno di un immenso, enorme disordine: lo stesso disordine e disorientamento profondo, esistenziale, che oggi c'é nell'animo di ogni uomo che pensa e si interroga, purtroppo lasciato culturalmente solo a fronteggiarlo.
    Sia chiaro che non ho nulla contro le scienze, e ritengo che siano una preziosa e grandiosa conquista dell'umanità, ma é la nostra cultura che deve ancora digerire il loro portato reale e sospingerle a misurarsi con tale portato: non lasciarsi impropriamente ed acriticamente condurre da esse, perché non sanno e non possono farlo, non son nate per questo compito.

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