martedì 11 aprile 2017

Infrastrutture: il conflitto che diventa complotto

di
Francesco Zanotti

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Leggete questo articolo preso da “ilPaeseNuovo.it” quotidiano di Lecce e provincia.
Verificherete che l’opposizione ai progetti infrastrutturali trascende spesso i progetti stessi e diventa confitto a 360 gradi contro la società industriale con quella degenerazione socio-cognitiva che si chiama complottismo.

Il problema di fondo è che oggi le infrastrutture non solo non vengono considerate strumenti di sviluppo, ma accade anche che la loro crescita e il loro ammodernamento siano ostacolate da una crescente conflittualità.
Essa si manifesta sia a livello locale (di singolo progetto), sia verso l’esistenza stessa delle Società di infrastrutture, sia verso la stessa società industriale. finendo inevitabilmente nel complottismo.

Una conflittualità locale crescente …
La conflittualità emerge a livello dei singoli territori quando una Società di Infrastrutture presenta da un nuovo progetto. Non è pre-esistente.
Essa viene scatenata da attori sociali che si formano proprio per contrastare il progetto. O da attori istituzionali locali che si mobilitano sempre per contrastare il progetto di cambiamento infrastrutturale. Li definiamo entrambi “attori sociali emergenti” perché è il progetto che li fa emergere e mobilitare.

L’opposizione ai contenuti
L’opposizione sociale si manifesta, innanzitutto, come opposizione ai contenuti (ma, vedremo, si tratta di una “scusa”). Gli attori sociali emergenti non considerano mai convincenti né le ragioni, che hanno guidato la formulazione del progetto di una impresa di infrastrutture, né le caratteristiche del progetto stesso.

La dimensione istituzionale non è vincolante
Non ha importanza se il progetto ha ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie. Neppure ha importanza se gli Attori Sociali Istituzionali (le Associazioni ambientaliste nazionali, ad esempio) e le Istituzioni locali (dalle Regioni, fino ai Comuni) hanno già negoziato miglioramenti, compensazioni etc.

Il confliggere crea consenso
L’azione di opposizione ai progetti infrastrutturali si autoalimenta. Quanto più gli attori sociali emergenti mettono in atto azioni conflittuali, tanto più aumenta la loro capacità di interdizione attraverso il crescente consenso che attirano proprio grazie al successo del loro confliggere. Il fatto che chi confligge attira consenso è anche favorito da una società dove l’ostilità verso le istituzioni e l classi dirigenti è crescente.

Il consenso da conflitto rimette in discussione il consenso istituzionale.
Il crescente consenso alle azioni di interdizione, opposizione al progetto, e il conseguente consenso agli attori che le mettono in atto, finisce per attivare ripensamenti nelle Istituzioni e negli Attori sociali istituzionali.

Il conflitto approda nella aule giudiziarie
Da ultimo, accade sempre più spesso che il conflitto approdi nelle aule giudiziarie con tutto quello che questo comporta sia per la Società di infrastrutture e che per i suoi Amministratori.
In sintesi, la conflittualità si esprime con una crescente sanzione sociale che può arrivare ad attivare le sanzioni certamente più cogenti della Magistratura.

Il confitto non è mai vinto
Neanche quando alcune infrastrutture, alla fine, vengono realizzate il conflitto si spegne. L’esperienza elenca numerosi casi di pervicace opposizione che risuona anche negli altri progetti.

… che diventa complessiva, etica …
Accade, poi, che la conflittualità non rimanga circoscritta ai singoli progetti, ma si trasformi in una conflittualità complessiva che assume valenze etiche. Diventa molto simile a una guerra di religione contro le Società di infrastrutture e la società industriale.

Creano alleanze sempre più vaste
Gli attori sociali locali tendono, per loro natura, a creare reti complesse a livello nazionale e internazionale che “sommano” e generalizzano le singole opposizione locali in una meta opposizione che ideologizza, istituzionalizza il confitto: generalizza l’opposizione verso tutti i nuovi progetti infrastrutturali che arriva a contestare la scelta stessa di affidare a imprese gestite con logiche privatistiche (anche se di proprietà e di controllo pubblici) sistemi di infrastrutture. Il caso TAV è esemplare.

Che finiscono nel complottismo.
Cioè nello spiegare i comportamenti strategici e relazionali delle imprese di infrastrutture, immaginando che esse sono motivate da qualche insieme di ragioni occulte e tendenzialmente perverse.
Usare la teoria del complotto è un ottimo modo per giustificare un conflitto permanente effettivo che è il modo più semplice di affermare la propria identità. Infatti, tutte le spiegazioni, le illustrazioni, le giustificazioni che la loro controparte può dare sono solo una ulteriore conferma del complotto. La teoria del complotto esorcizza completamente il dialogo.

… e costruisce un gioco complessivo a somma negativa.
Questa conflittualità prima locale e, poi, complessiva, genera un gioco sociale a somma negativa. E’ negativo per gli shareholder che vengono danneggiati da questo “vulnus” alle operatività, e, quindi, alle performance patrimoniali, economiche, finanziarie e sul valore delle azioni delle Società in cui hanno investito. Ma lo è anche per il sistema degli stakeholder oppositori che vedono rallentata o bloccata la realizzazione di opere che molto spesso servono sia allo sviluppo delle economie locali sia allo sviluppo del Sistema Paese.



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