di
Francesco Zanotti
Il riferimento è all'articolo di fondo di Sabino Cassese sul Corriere di oggi. Egli parla dell’avvento di partiti organizzativamente liquidi che, sostiene, da un lato, sono positivi perché rompono quei fortini autoreferenziali (questa espressione è mia) che erano diventati i partiti. Ma, dall'altro, producono anche un vuoto di educazione civica e di selezione della classe dirigente.
Il primo commento è che non è vero che i partiti
organizzativamente duri sanno selezionare le classi dirigenti. Anzi, è vero il
contrario. Dopo la classe dirigente (politica ed imprenditoriale, per la quale
vale un discorso analogo) che ha costruito nel dopoguerra questo paese si è andati
di male in peggio. Basta confrontare le figure di De Gasperi e Togliatti (per
non parlare degli altri) con i leader che si confrontano oggi per
convincersene.
Ma, poi, il vero tema è che occorre cominciare a
parlare di “struttura cognitiva”. Un partito liquido ha bisogno di risorse
cognitive radicalmente diverse da quella usate nel passato per poter svolgere
una funzione positiva. Sono necessarie conoscenze transdisciplinari e metodologie
di stimolo progettuale e di sintesi. Non competenze di comunicazione
cabarettistica. Con queste competenze un partito diverrebbe organizzativamente
liquido, ma cognitivamente progettuale ed aggregante. Ma chi si occupa di
discutere della qualità delle risorse cognitive che sono nella disponibilità
dei partiti? Non è che gli scienziati della politica dovrebbe almeno conoscere
lo stato dell’arte degli studi organizzativi per capire la differenza tra
struttura formale ed informale che li porterebbe a comprendere che i partiti
dovrebbero essere contemporaneamente organizzati e liquidi.
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