martedì 1 dicembre 2009
Cambiare davvero:ci vuole un fisico... bestiale
Ieri, sulla Repubblica, è apparso una lettera aperta di Celli, attuale direttore generale della Luiss, a suo figlio appena laureato, o meglio a tutti i "figli", invitandolo, dopo aver passato in rassegna lo stato di estremo degrado del nostro paese, a lasciare l'Italia per trovar fortuna altrove.
Il giorno prima, sul Messaggero, Romano Prodi affrontava, in modo meno esplicito ma altrettanto drammatico, il tema della sfiducia nel futuro dell'Italia, a partire dalla rassegnazione per un destino diverso del Sud Italia e dello stato dell'Università.
I commenti su Celli, di vario tono, sono stati numerosissimi (quasi 2000 ad oggi), ma credo che anche Prodi abbia generato un discreto dibattito, anche se non tracciato in rete.
Lasciatemi commentare due aspetti che accomunano, secondo me non a caso, queste prestigiose analisi: l'università e il futuro del paese.
L'università era un punto di snodo, una "transizione di fase", come mi ricorda un caro amico (che non cito, non perchè non meriti, ma per non turbare il suo desiderio di discrezione). Tale snodo ha perso di significato, almeno per la nostra società. Ieri, rappresentava un ingresso ad una mondo in evoluzione, oggi, più nulla: forse, un passaporto per l'ingresso in un altro paese, dove la nostra conoscenza ha ancora un valore. E', ahinoi, una spietata e lucida analisi.
Poi, c'è la rassegnazione, totale, da parte di Celli, preoccupata, da parte di Prodi, ma entrambi tradiscono poca fiducia nel futuro.
Nella storia dell'umanità, le giovani generazioni sono sempre state una "assicurazione per il futuro", ribellandosi, facendo errori, ma mai piegandosi acriticamente alle volontà dei padri.
Oggi, come ieri, le istituzioni (in primis i giornali) sono in mano ai vecchi, quelli che, per definizione, non possono e non vogliono cambiare, laddove giovani generazioni combattono in silenzio la loro battaglia quotidiana, per la sopravvivenza contro il precariato, contro le mafie (conoscete il movimento Ammazzatecitutti ?) per costruire e dare, a noi tutti, un futuro migliore, si spera, e in ogni caso diverso. Pochi gli spazi dati a questi giovani, poco anche il credito e gli incitamenti (due articoli in due giorni da far piangere. Per fortuna i giornali sono poco letti... e ci credo!), ma cambiare si può e si deve e sta già accadendo. Non è esercizio per vecchietti debilitati da un forte superego, incartapecoriti in una granitica identità della quale non si spoglieranno mai, ma che è il principale ostacolo ad accettare un reale e profondo cambiamento.
Per cambiare in maniera davvero feconda, senza incappare negli errori dei padri (guerre, rivoluzioni, eccetera), bisogna accumulare conoscenza, l'unica eredità delle passate generazioni che davvero valga la pena salvaguardare.
Nelle aziende, nelle istituzioni, in politica, chi davvero ha voglia di imparare per cambiare? Chi ha l'umiltà, come i giovani universitari, di presentarsi davanti al sapere accumulato dall'umanità, per comprendere una modalità davvero nuova di cambiamento, senza perpetuare ancora una volta la propria identità?
Dunque, il futuro non è oggi, ma va costruito da chi nel futuro ci sarà, e chi non ci sarà, ma vuol dare un contributo, accumulando conoscenze, come fanno i giovani, rendendole disponibili in forma intellegibile ad altri (ruolo principe dell'Università, ma non solo) oppure "aprendosi" ai cambiamenti profondi (che è equivalente a dire "rinunciare", in tutto o in parte, alla propria identità).
Siamo disponibili a questo processo? Celli e Prodi danno per scontato di no, e, forse, hanno ragione per le loro generazioni che, probabilmente, non hanno più il fisico per mettersi in discussione.
Rimangono i giovani, ma solo quelli col fisico bestiale e, secondo me, per fortuna ce ne sono ancora tanti.
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