Caro Aleph V,
non riesco a capacitarmi di quanto vedo accadere in Italia, e mi rivolgo a te, per dialogare...come è che la culla del Rinascimento, terra di passaggio di popoli ed idee, di grandi innovatori, artisti e progettisti, che spesso si vanta di detenere una quota rilevantissima del patrimonio culturale mondiale, mostri questa decadenza?
Ho saputo che sabato scorso migliaia di persone si sono spostate per raggiungere Roma, si dice, auto organizzate, e colorate di viola. Obiettivo chiaro, le dimissioni del presidente del consiglio. Lo sai, di queste cose non mi curo in genere, e quindi non è il commento dell'attualità (loro) che mi interessa...quanto la profondità di quanto avviene.
Non che il Paese sia in forma...ma allarghiamo lo sguardo e puliamo la mente, e chiediamoci...perché tutte queste energie non vengono messe nel progettare soluzioni più che nel prendersela contro Uno? Pur potente, potentissimo...potrà davvero essere lui la causa di tutti i mali, e potrebbe, ammesso che sia possibile, la sua rimozione da quella carica portare al massimo bene?
Non so...migliaia di persone, intelligenze, risorse, conoscenze, sottoimpiegate, arrabbiate...se non manipolate oppure strumentalizzate. Io non lo so, l'attualità non mi interessa... ma, di certo, tutto questo non ha avuto nessun effetto, non han prodotto nessun cambiamento significativo in nulla – e lo sapevano-
… forse una cosa dovremmo dirla e forse anche farla..
Incentivare la costruzione di soluzioni e di proposte innovative che tolgano il paese ed il sistema mondiale fuori dai pasticci.. .in questi giorni, un grande vertice sull'ambiente si tiene a Copenaghen... appunto... l'uomo e la natura sono in grande conflitto, ma l'uno non può fare a meno dell'altra (forse la natura può invece fare a meno dell'uomo), e, poi, la più grande crisi economica mondiale... e son convinti davvero che sia solo un problema finanziario e di regole? Che bastino incentivi e regole nuove...? Oppure un repulisti della corrotta (si dice sempre così) classe dirigente finanziaria e politica...?
Non so..forse è bene che si capiscano che le dimensioni di analisi devono essere più profonde...cosa l'economia deve produrre, per chi e come? Cosa e come distribuire i beni e la ricchezza? Come governare un mondo intero abitato da miliardi di persone molto diverse tra loro per cultura, storia, risorse e desideri? Quale senso alla vita delle persone..? Forse queste sono domande a cui val l pena rispondere e su cui investire tempo ed energie...perché vedo quel paese oscillare tra il viola ed il grigio? Non so...perché anche chi non protestava queste domande non se le pone..e di certo non ha le risposte....ma non capiscono che al di là della riduzione dei costi (ovvero spesso dei licenziamenti) il sistema economico nazionale...e poi europeo e poi mondiale...non ha una direzione sensata? Ed, infine, non si accorgono che tutto questo è nelle loro mani e, prima ancora, nelle loro menti?
Occorre che si faccia qualcosa di profondo e positivo, per rivitalizzare le persone, la società... loro stessi sapranno poi trovare la migliore via di uscita.
un abbraccio e spero di incontrarti presto.
Un saluto da lontano,
Aleph III
Ieri, sulla Repubblica, è apparso una lettera aperta di Celli, attuale direttore generale della Luiss, a suo figlio appena laureato, o meglio a tutti i "figli", invitandolo, dopo aver passato in rassegna lo stato di estremo degrado del nostro paese, a lasciare l'Italia per trovar fortuna altrove.
Il giorno prima, sul Messaggero, Romano Prodi affrontava, in modo meno esplicito ma altrettanto drammatico, il tema della sfiducia nel futuro dell'Italia, a partire dalla rassegnazione per un destino diverso del Sud Italia e dello stato dell'Università.
I commenti su Celli, di vario tono, sono stati numerosissimi (quasi 2000 ad oggi), ma credo che anche Prodi abbia generato un discreto dibattito, anche se non tracciato in rete.
Lasciatemi commentare due aspetti che accomunano, secondo me non a caso, queste prestigiose analisi: l'università e il futuro del paese.
L'università era un punto di snodo, una "transizione di fase", come mi ricorda un caro amico (che non cito, non perchè non meriti, ma per non turbare il suo desiderio di discrezione). Tale snodo ha perso di significato, almeno per la nostra società. Ieri, rappresentava un ingresso ad una mondo in evoluzione, oggi, più nulla: forse, un passaporto per l'ingresso in un altro paese, dove la nostra conoscenza ha ancora un valore. E', ahinoi, una spietata e lucida analisi.
Poi, c'è la rassegnazione, totale, da parte di Celli, preoccupata, da parte di Prodi, ma entrambi tradiscono poca fiducia nel futuro.
Nella storia dell'umanità, le giovani generazioni sono sempre state una "assicurazione per il futuro", ribellandosi, facendo errori, ma mai piegandosi acriticamente alle volontà dei padri.
Oggi, come ieri, le istituzioni (in primis i giornali) sono in mano ai vecchi, quelli che, per definizione, non possono e non vogliono cambiare, laddove giovani generazioni combattono in silenzio la loro battaglia quotidiana, per la sopravvivenza contro il precariato, contro le mafie (conoscete il movimento Ammazzatecitutti ?) per costruire e dare, a noi tutti, un futuro migliore, si spera, e in ogni caso diverso. Pochi gli spazi dati a questi giovani, poco anche il credito e gli incitamenti (due articoli in due giorni da far piangere. Per fortuna i giornali sono poco letti... e ci credo!), ma cambiare si può e si deve e sta già accadendo. Non è esercizio per vecchietti debilitati da un forte superego, incartapecoriti in una granitica identità della quale non si spoglieranno mai, ma che è il principale ostacolo ad accettare un reale e profondo cambiamento.
Per cambiare in maniera davvero feconda, senza incappare negli errori dei padri (guerre, rivoluzioni, eccetera), bisogna accumulare conoscenza, l'unica eredità delle passate generazioni che davvero valga la pena salvaguardare.
Nelle aziende, nelle istituzioni, in politica, chi davvero ha voglia di imparare per cambiare? Chi ha l'umiltà, come i giovani universitari, di presentarsi davanti al sapere accumulato dall'umanità, per comprendere una modalità davvero nuova di cambiamento, senza perpetuare ancora una volta la propria identità?
Dunque, il futuro non è oggi, ma va costruito da chi nel futuro ci sarà, e chi non ci sarà, ma vuol dare un contributo, accumulando conoscenze, come fanno i giovani, rendendole disponibili in forma intellegibile ad altri (ruolo principe dell'Università, ma non solo) oppure "aprendosi" ai cambiamenti profondi (che è equivalente a dire "rinunciare", in tutto o in parte, alla propria identità).
Siamo disponibili a questo processo? Celli e Prodi danno per scontato di no, e, forse, hanno ragione per le loro generazioni che, probabilmente, non hanno più il fisico per mettersi in discussione.
Rimangono i giovani, ma solo quelli col fisico bestiale e, secondo me, per fortuna ce ne sono ancora tanti.