sabato 4 aprile 2009

Programma per un Expo della conoscenza





Nel mio ultimo intervento, ho parlato dell’organizzazione di un Expo della Conoscenza come di un contributo decisivo per smascherare la vera natura della crisi ed avviare un processo di sviluppo.

Ora provo a fare un passo avanti …

Quali idee si possono esporre all’Expo?
Cominciamo ad evitare un rischio: che le idee siano solo qualche stranezza piccola, piccola e carina, che faccia sorridere di compiacimento. Il compiacimento di una classe dirigente-papà che sorride compiaciuto alle domande ingenue o alle tenere smorfie di innovatori eterni fanciulli.
Provo allora a proporre che tipo di nuove idee sono necessarie a uomini che vogliano tornare liberi e forti. Liberi dalla crisi e così forti da sapere generare un nuovo mondo.

Mi sembra che le nuove idee possano essere di tre tipi: nuovi linguaggi, ipotesi per una nuova società, nuove grandi storie.

Nuovi linguaggi
Innanzitutto sono necessari (e, quindi, è necessario “esporre”) nuovi linguaggi. Ecco, non sto riferendomi a nuovi strumenti espressivi. Anche. Ma non solo. Sto riferendomi a nuovi modelli e metafore per leggere il reale e progettarne un altro. Nuovi modelli e nuove metafore che si condensino in una nuova visione del mondo. Se preferite parlare di una nuova cultura, facciamolo, ma stando attenti a che non si scivoli nella retorica, rischio al quale l’uso di questa parola ci sottopone.

Il paradosso è che la materia prima (modelli e metafore) per formare questa nuova cultura esiste.
Intendo riferirmi a tutte le nuove idee che sono nate nell’ambito della matematica, della fisica e della biologia e in molti altri campi disciplinari. Esse sono la materia prima per sostituire la cultura della società industriale, che può essere sintetizzata nella famosa espressione del Galilei: sensate esperienze e certe rappresentazioni. Ed anche per scoprire le culture di altri popoli, come i popoli orientali che hanno una cultura che è quasi l’esatto opposto della cultura della società industriale
Nuove idee per costruire una nuova visione del mondo, che serva come linguaggio per costruire un nuovo mondo, esistono. Ma non vengono usate da una classe dirigente “in altre faccende affaccendata”. Allora è il caso di portare alla luce queste nuove idee, questi nuovi linguaggi …
Mi scappa un esempio di nuovo linguaggio per dire cose nuove. E si tratta di un esempio che potrà sembrare paradossale: la matematica. Essa non è fatta solo di algoritmi sempre più sofisticati, che solo poche menti sanno comprendere e solo i computer sanno sviluppare. Essa è oggi quasi l’opposto della matematica che immaginava il Galilei: il linguaggio per costruire “certe dimostrazioni”. Essa è un linguaggio per costruire nuove geometrie per immaginare nuovi mondi. Quasi tutti quelli che vogliamo. E' un linguaggio che ha scoperto l’insensatezza delle ideologie, dimostrando che sono sempre o banali o auto contraddittorie. E’ un linguaggio nel quale alcuni (infiniti) suoi enti (i numeri irrazionali, ad esempio) racchiudono tutte le storie possibili. E’ un linguaggio aperto ad una crescita continua a sociale. E’ un linguaggio delle cui “lezioni” abbiamo estremo bisogno.

Ipotesi per una nuova società.
Con questa espressione, intendo, evidentemente solo come esempi non esaustivi, le seguenti ipotesi. Ipotesi, progetti di nuovi prodotti che debbono sostituire quelli oramai solo enfatici, noiosi e spreconi, che la società industriale ha creato: nuove auto, nuovi elettrodomestici, un nuovo vestire, nuove case … e chi più ne ha più ne metta. Nuovi servizi per il benessere fisico e, lasciatemi dire, metafisico delle persone e delle età. Nuovi sistemi produttivi, meno innaturali e devastanti. Un nuovo sistema di infrastrutture che faccia girare di più i bit e meno le cose. Un nuovo stato sociale che venga considerato un investimento e non una spesa. Dove la vecchia diatriba tra pubblico e privato si sciolga in una nuova cooperazione centrata su nuovi attori che non siano più né solo impresa, né solo stato. Un nuovo sistema di istituzioni e di fare politica che superi il modello troppo primitivo della democrazia decisionale.

Nuove grandi storie.
Con i nuovi linguaggi si formano le nuove ipotesi per la società prossima ventura. Ma queste nuove ipotesi devono dare vita a grandi storie complessive. Non a grandi ideologie. Credo, però, che rischiamo di buttare la classica acqua sporca con l’altrettanto classico bambino dentro. Nel secolo appena trascorso, abbiamo capito l’insensatezza delle grandi ideologie e abbiamo vissuto le tragedie che esse sanno generare. Allora abbiamo deciso, anche se non ci siamo per nulla riusciti perché ognuno di noi continua a pensare ideologicamente, a buttare le grandi ideologie. Ma occorre distinguere l’acqua sporca dal bambino. Le ideologie sono acqua sporchissima, soprattutto di sangue. Il bambino è l’aggettivo “grande”. E’ da salvare, perché non abbiamo bisogno di grandi ideologie, ma di grandi storie sì! Storie di una nuova società che potrà solo nascere solo come sintesi di grandi racconti che nascono in ogni anfratto di una società che ha davvero buttato l’ideologia.

venerdì 3 aprile 2009

Un G20 che restyling



Stamattina, 3 aprile 2009, leggo commenti entusiasti sui risultati del G20 concluso ieri. Un successo senza vincitori né vinti titola l'articolo di fondo del Sole 24 Ore, a firma Adriana Cerratelli.

Ma il G20 ha deciso veramente cose che riusciranno a farci uscire dalla crisi?

Prima di rispondere, diamo una occhiata alla crisi ed alle sue cause.
La crisi è generata dal fatto che abbiamo un sistema produttivo che produce cose sempre meno interessanti, usando uno sproposito di risorse naturali; un sistema di servizi che cerca di compiacere questo sistema produttivo, invece che stimolarlo a cambiare. E, poi, è frutto di un sistema finanziario che non ha strumenti per capire le dinamiche di sviluppo del sottostante fondamentale di ogni titolo, cioè il soggetto che noi consideriamo il produttore fondamentale di valore: l’impresa. Ed, allora, rischia di privilegiare le imprese che hanno un grande passato, rispetto a quelle che avranno un grande futuro.
Se la crisi ha queste cause, per uscirne è necessario attivare un grande sforzo di riprogettazione del sistema industriale, del sistema di servizi e di quello finanziario. Ma poi anche di tutta la società che sta intorno ad essi e sulle risorse da essi prodotti si struttura e si sviluppa.

Le misure decise del G20 intervengono sulle cause della crisi?

Riproduco la sintesi delle misure del G20, che propone il Sole 24 Ore in prima pagina:
· Lotta ai paradisi fiscali
· Aumento della dotazione del Fondo monetario internazionale
· Lotta ai superstipendi
· Nuove regole finanziarie.

Sono misure che stimolano la progettazione di un nuovo futuro? Certamente no! Anzi hanno il non voluto, ma reale, effetto di far sopravvivere il presente. Un G20 che fa restyling, insomma.

Cosa avrebbe potuto fare, alternativamente il G20?
La risposta è logicamente molto lineare, ma è psicologicamente difficile da “vedere” soprattutto per le classi dirigenti.

Come si fa a progettare un nuovo mondo? Fornendo a tutti coloro che vogliono impegnarsi a farlo, nuovi modelli e nuove metafore, capaci di condensarsi in una nuova visione del mondo. Così è stato fatto, anche se non consapevolmente, per generare il Rinascimento.

Oggi esiste una “montagna” di nuovi modelli e metafore per capire e parlare del mondo che sono raccolti nel nome “complessità”.

Allora, prima ed a monte degli sforzi di migliorare i mercati finanziari perché rendano disponibili nuove risorse finanziarie, è necessario rendere disponibili nuove risorse di conoscenza: i nuovi modelli e le nuove metafore per progettare un nuovo mondo.

In concreto, il G20 avrebbero potuto organizzare un grande Expo della conoscenza, che avesse l’obiettivo di raccogliere, sintetizzare e diffondere questi modelli e queste metafore.

Ma, forse, è chiedere troppo alle attuali classi dirigenti. Allora, forse, è possibile avviare un movimento dal basso che si ponga l’obiettivo di avviare un reticolare Expo della conoscenza.