di
Francesco Zanotti
Ovviamente, nessuno si è sognato di contestare il concetto stesso di rating, i suoi algoritmi, l’assurdità scientifica di algoritmi che pretendono di misurare su di una scala monodimensionale discreta, a pochi valori, la capacità di sviluppo di un Paese. Ovvio che a nessuno è venuto in mente che la struttura di una società potrebbe essere topologica e quantistica e non metrica e “classica”. Ma lasciamo stare: vale la famosa espressione del Giusti. La adatto un po’: “Le nostre Eccellenze (non solo politiche) sono in tutt’altre faccende affaccendate”. E non sono certo interessati ad algoritmi, fisica quantistica, una salutare divisione tra topologia e metrica …
Oggi voglio aggiungere un altro tassello al discorso di ieri. Un articolo sul Sole 24 Ore di Isabella Bufacchi mi suggerisce una possibile interpretazione del “processo di rating”: ancora una volta c’è di mezzo il problema dell’autoreferenzialità dei sistemi.
Voglio dire che il sistema delle agenzie di rating è autoriferito: ha, quindi, come primo obiettivo quello di difendere la categoria. Poi, le singole agenzie hanno come obiettivo il competere tra di loro per dividersi quel potere che hanno conquistato tutte insieme. Detto diversamente: il giudizio che danno è funzionale a fare vedere quanto contano le agenzie di rating: sanno condizionare i mercati. ( Ma … assurdità … se le loro analisi condizionano la realtà, come possono essere considerati una misura della realtà?)
E, poi, occorre arrivare primi a formulare un giudizio ad alta visibilità come un giudizio negativo su di un paese importante come l’Italia. E altre devono seguire e non possono che picchiare ancora più duro altrimenti non recuperano …
Chi vuole, provi a fare un esperimento: chieda ad “uno che conta”: ma che differenza c’è tra lineare e non lineare? Molti non capiranno neanche la domanda. Peccato che i modelli che usano per capire e governare sono sostanzialmente lineari e i sistemi che deve gestire non lo sono punto.
Pubblico con piacere il commento del Prof. Ignazio Licata:
RispondiElimina"Le notizie di questi giorni sul rating hanno riaperto un dibattito sulle logiche interne ed i criteri di questo tipo di valutazione, che a noi sembra troppo algoritmica, lineare e "classica". Sappiamo anche come reagirebbe l'analista tradizionale ad almeno due di questi tre aggettivi. Innanzitutto direbbe che l'algoritmo è un ingrediente universale di ogni valutazione, e che naturalmente sa benissimo che va interpretato e valutato con considerazioni qualitatitive "non-zippabili", politiche e strategiche.Che basterebbe questo (ma ci sono anche i modelli) a rendere l'analisi non-lineare. Verosimilmente avrebbe poco da aggiungere sull'osservazione relativa al "classico", che noi intendiamo qui con non quantistico.Naturalmente non vogliamo in alcun modo suggerire che un'impresa è simile ad una particella elementare! Intendiamo riferirci piuttosto alla logica ed alla semantica dei sistemi quantistici, ossia di quei sistemi contestuali- in cui l'atto di osservazione è già una scelta sul sistema!-,in cui è praticamente impossibile distinguere l'intreccio delle molte storie, la multifattorialità contestuale inestricabile di "cause" a più livelli. Ma fin qui si tratterebbe solo della "vecchia" complessità, sulla quale esiste già abbastanza retorica. La vera differenza entra in gioco più a monte: con quantistico non intendiamo solo un modo di osservare i sistemi, ma di progettarli, o meglio di pensarli.Per noi quantistico è il regno virtuale delle possibilità sociali ed economiche non ancora "collassate", magari "improbabili" dal punto di vista del probabilismo classico, e la vera differenza con l'analista di cui sopra (e con la complessità tradizionale) è appunto il fatto che per noi il passato(valutazione di rating) non determina il futuro in modo univoco( strategia), e che "strategia" non può essere soltanto un rimedio "locale" ai problemi di una valutazione che si pretende "oggettiva",ma è qualcosa che implica una visione globale non settoriale del rapporto tra imprese e mondo. Analisi e la strategia sono momenti strutturalmente inscindibili.Allora il centro della sfida si sposta non tanto sulla critica agli attuali modelli di valutazione (sarebbe ormai come sparare sulla croce rossa in politichese puro), ma piuttosto sull'aspetto propositivo di una nuova visione della strategia.Bisogna ripartire dall'idea epistemologica fondamentale che il problema oggi non è tanto di "complessità" quanto di consapevolezza di questa nella costruzione di modelli e strategie, ricordando che un modello di analisi implica sempre in nuce una strategia, e che soltanto una strategia globale può andare oltre le "ricette" e suggerire modelli virtuosi"