martedì 2 dicembre 2008

Ma quando ci sarà la ripresa? Di questa economia, mai!

Leggo sul Sole 24 Ore di oggi (2 dicembre 2008), a firma Carlo Basastin, un pregevole articolo dal titolo “La fiducia e il costo delle riforme”.
Mi ha colpito molto una affermazione, quasi una certezza, che a me sembra proprio sbagliata. E se è sbagliata rende problematiche tutte le osservazioni (non mi sembra vi siano proposte) e le esortazioni al Governo presenti nell'articolo. Come quando togliete una pietra angolare …

L’affermazione è “Anche gli scenari peggiori contano in una ripresa globale nell’arco di 6-16 mesi.”.
Be’ una prima cosa da dire è che previsioni di questo tipo lasciano perplessi. Hanno una variabilità così rilevante (16 mesi sono quasi tre volte 6 mesi) che è come se, quando andate a comprare le scarpe, dite al commesso che avete un numero tra il 32 e circa il 90. Francamente: di una previsione di questo tipo non ce ne facciamo quasi nulla.

Ma la domanda più importante è un’altra.
Si prevede, sia pure con una incertezza quasi esiziale, la ripresa dell’economia, ma: di quale economia?
Se la risposta è: di questa economia, allora è una risposta completamente errata.
La ripresa di questa economia non vi sarà. Le ragioni sono sostanzialmente due … Più tante altre …

La prima delle due è che il sistema di output (i prodotti che stanno sugli scaffali) di questa economia interessano sempre meno. Quindi dovremo attenderci un calo del Pil generato da questa economia. Non vi sarà ripresa di questi consumi.

La seconda delle due è che, anche se tutto il mondo volesse alla follia i prodotti generati dall'attuale sistema produttivo, non vi sarebbero le risorse (materie prime, energia etc.) per farli. E non vi sarebbero le risorse e l’energia per costruire il sistema di infrastrutture necessario a far viaggiare materie prime e prodotti.

E poi vi sono le altre ragioni. Citando in ordine sparso …
Le strategie di sviluppo sono sostanzialmente competitività e produttività. Ma esse portano a ridurre gli occupati nelle imprese. Si immagina, forse, che essi saranno assorbiti da altre imprese che, poi, dovranno espellerli per essere più produttive e più competitive? E se si riducono gli occupati, questi licenziati, quando diventano consumatori, dove prendono i soldi per consumare?
Forse si gioca sulla innovazione tecnologica? Ma abbiamo valutato quanta occupazione potranno generare tutte le start-up su nano e biotecnologie possiamo immaginare? E che tipo di occupazione? O pensiamo che le innovazione tecnologiche sapranno rilanciare l’interesse per i prodotti attuali, aumentandone il contenuto tecnologico?

Allora che fare se questa economia non può riprendere? Banale: progettarne un’altra all'interno di una nuova società.
Più precisamente … Non dobbiamo cercare di fare funzionare meglio le imprese esistenti. Dobbiamo progettare un nuovo sistema di imprese che costruisca un nuovo sistema di consumi. Dobbiamo progettare un nuovo sistema di servizi e di infrastrutture. Nuove istituzioni ed un nuovo modo di fare politica.

Per riuscirci? Certo non riesco a costruire una proposta complessiva, ma alcuni semplici balbettii, sì! Sarà poi la riflessione comune che trasformerà i balbettii in proposta.

Primo balbettio: dobbiamo abbandonare le parole mito. La prima è: competitività. Essa ha oramai perso il suo significato originario di “produrre maggior qualità a prezzo più basso dei concorrenti”. E’ diventata una parola-valigia che oramai sta ad indicare tutto il buono ed il bello. Tutti sono d’accordo che la competitività è un valore, ma è un valore così generico che ognuno poi propone di raggiungerla in modo diverso. Soprattutto tutti sono d’accordo sul fatto che non va bene il modo proposto dall'avversario politico o aziendale che sia.

Secondo balbettio: dobbiamo aumentare la capacità di consapevolezza e progettualità di imprese e banche.
Intendo dire che le imprese e le banche devono sapere quando i prodotti di una impresa hanno perso di senso, cosicché la competitività è strutturalmente impossibile. Ed è necessario riprogettare l’impresa, ma con una sapienza progettuale molto più intensa dell’attuale, mortificata dai confini angusti della competitività.

Terzo balbettio: dobbiamo superare le tentazione di semplificare il politico ed il sociale. Ma imparare a considerare un valore e a gestire il continuo loro (del politico e del sociale) aumento di complessità, cioè di ricchezza della società.

Quarto balbettio: ripensiamo alle previsioni. La prima cosa che dobbiamo è smetterla di prevedere. Il futuro non è costruito da qualche dio minore o maggiore. E’ frutto dei nostri comportamenti. Se viviamo una crisi che diventa sempre più grave è perché ce la siamo costruita noi e ci crogioliamo dentro. Se continuiamo ad aspettare che la crisi passi e continuiamo nei comportamenti precedenti, allora la crisi peggiorerà. Come quando ci si tira la zappa sui piedi. Per non sentire male si può solo smettere di zappettare i piedi. Se si continua, magari proponendosi di farlo competitivamente, non si può attendere che in tutti i prossimi sedici mesi ci si farà sempre male.

Balbettio finale: ma come fare a balbettare in questo modo?
Mollando la zappa. Se si tiene in mano la zappa si menano colpi … Voglio dire che oggi stiamo usando per guardare il mondo e viverci la cultura che ha fondato la società industriale: il pensiero vetero-scientifico di Galileo. Vogliamo costruire una nuova economia ed una nuova società? Dobbiamo cambiare la nostra visione del mondo di riferimento. Dobbiamo mollare la zappa.
E cosa prendiamo? Esiste una interamente nuova cassetta di strumenti (cultura, linguaggi) che viene etichettata come “complessità”. Vi sono strumenti per aumentare la consapevolezza e la progettualità di banche ed imprese. Vi sono strumenti per gestire la complessità politico sociale. Si tratta di una nuova cultura che ci spinge non a prevedere ed a costruire.

3 commenti:

  1. Penso che la "nuova cassetta" vada raccontata. L'attuale sistema di valori e' fortemente evocativo di immagini piacevoli, percepiti positivamente. Ve ne e' una dimostrazione nella pubblicità: non enunciazione di prestazione ma evocazione dei "significati" laterali attraverso la narrazione, anche breve. Comprare la tal automobile ti rende bello agli occhi delle donne (o degli uomini), essere abbonato a quel servizio telefonico ti rende "fico", e tutto con piccole, a volte piccolissime storie di pochi secondi.
    Cosa è invece la complessità?
    Beh, con un po' di imbarazzo devo ammettere a me stesso che nell'accezione comune è... sinonimo di un gran casino!
    Non è né chiaro né allettante come messaggio. Se invece si provasse a raccontarne il significato, gli aspetti peculiari?

    Se complessità deve essere, che sia, a patto di farne una narrazione e non un freddo snocciolamento di enunciati ( e per favore, cambiamogli nome).
    L

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  2. Siamo tutti Semafori!
    Un caso concreto di applicazione della complessità

    Qualche mese fa è comparso sulla rivista New Scientist un articolo che parla delle ricerche di Dirk Helbingen, un fisico di un istituto di ricerche di Zurigo.
    “Helbing e i suoi colleghi hanno scoperto che volere la regolarità e il controllo a tutti i costi è un grave errore…dalle ricerche risulta infatti che in molte situazioni è meglio rinunciare a un po’ di controllo e lasciare che i sistemi (anche quelli umani) risolvano i problemi da soli.”
    Tesi neo-liberiste? Per niente: “Helbing sostiene che in molti casi non è molto importante fare delle previsioni, perché spesso le situazioni condizionano talmente le scelte individuali che le persone reagiscono alle forze esterne quasi automaticamente.” Ampia area di applicazione, già oggi, di questo principio è la gestione del traffico.
    Un esempio sotto gli occhi di tutti sono le numerosissime rotonde stradali. Al di là di sospetti abusi di tali soluzioni, e di quelle progettate male, la rotonda, rispetto al semaforo, funziona davvero. Alla sua base vi è uno studio dei flussi di traffico, le direzioni che possono esser prese, il dimensionamento della rotonda e una sola regola: dare precedenza a chi sta dentro. Penso sia esperienza diffusa che laddove questo procedimento è stato adottato con cura, il traffico è magicamente scomparso rispetto al precedente assetto viabile basato su semafori.
    La differenza, a pensarci, è semplice: si è rinunciato al “controllo” dei flussi, predeterminato dalla programmazione del semaforo, lasciando ampia libertà ai singoli ai quali si sono imposte solo poche e semplici regole di “perimetro” (dimensione rotonda, precedenza al centro).
    Nei paesi dove queste soluzioni sono state adotatte da anni, si sono fatti i conti in termini di risparmio di traffico, energia per i semafori, carburante dei mezzi che sostavano meno agli incroci.
    I benefici arrivano.
    Ma il passaggio è arduo: quando siamo di fronte a sistemi molto complessi (e oggi ne siamo sommersi: dalle aziende ai sistemi economici globali fino all’intero assetto della società occidentale) dovremo rinunciare ad un po’ di controllo identificando il perimetro, poche regole del gioco e lasciando ai singoli la libertà di trovare, volta per volta, le soluzioni giuste secondo le situazioni. Siamo pronti tutti noi , intrisi di cultura “semaforica” (politici, manager, insegnanti, madri e padri di famiglia) a progettare “rotonde” sociali e lasciar spazio a loro?
    ML

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