giovedì 13 aprile 2017

LETTERA APERTA DI PAOLO SAVONA A FERRUCCIO DE BORTOLI

di
Paolo Savona
con un commento di Francesco Zanotti

 Caro De Bortoli,
proprio mentre si andava facendo strada l’idea di chiedere una rinegoziazione dei patti europei (vedi l’ultimo editoriale di Alesina e Giavazzi sul tuo stesso quotidiano), ho letto il tuo articolo odierno sui danni in cui incorrerebbe il Paese se decidesse di uscire dall’euro. Se ho ben capito, ti avvali del modello di Prometeia per avvalorare queste tue previsioni, ammantate di un’oggettività che non ha radici scientifiche, perché non può averle. Se il modello usato è di tipo econometrico, esso non può cogliere che cosa accadrebbe se l’Italia uscisse dall’euro, perché l’anomalia dell’evento non può essere colto negli eventi del passato che sono alla base di qualsiasi di questi calcoli.
I risultati potrebbero essere usati se i grafici venissero presentati con le osservazioni statistiche del passato, a cominciare dal 1992, data in cui il Trattato di Maastricht è stato firmato inducendo cambiamenti nella politica monetaria prima e poi in quella fiscale. Queste osservazioni andrebbero interpolate con una linea di trend che parte da quella data e continua nei grafici che hai riportato nel tuo articolo. Così otterresti un’imparziale stima dei costi che avresti stando nell’euro o uscendone, che sarebbe rozza in entrambi i sensi, ma certamente meno seguendo la linea di trend.
Allo stato dei fatti, i fondamentali dell’economia non sono tali da giustificare l’attesa di una svalutazione della neo-lira: 1. abbiamo un surplus relativamente elevato di bilancia corrente estera, che The Economist pone nell’ordine di 2,5% di PIL (47,5 mld di dollari), un risparmio in eccesso che l’Italia non può mobilitare perché i privati non investono e lo Stato non può spendere, anzi deve accrescere (vedi manovra in corso); 2. l’inflazione al consumo è di poco inferiore al resto dell’euroarea; 3. La crescita della domanda aggregata è molto fiacca, quasi la metà dell’euroarea, e la produzione industriale in calo (-0,5%). Le ragioni economiche di una svalutazione grave, seguita dall’inflazione e da una crescita reale modesta, come tu e Lorenzo Forni sostenete, non esistono; semmai dovrebbe accadere il contrario, ossia la neo-lira si dovrebbe apprezzare e l’inflazione ridursi. Anch’io, a spanna, senza vesti formali impossibili da avere, ho sostenuto che si possa incorrere in un deprezzamento del cambio nell’ordine del 20-30%, se prima non organizziamo una linea di difesa internazionale (spero di non illudermi nel credere che la Banca d’Italia l’abbia già in agenda); essa sarebbe seguita da un’inflazione tra il 10-20%, ma si avrebbe un rilancio forte delle esportazioni, che da noi, come noto, sono sensibili al prezzo. Allo stesso tempo, però, mi attendo, sulla base dei cicli passati, un’inversione di tendenza entro due anni, ma non nel senso da te indicato, che le conoscenze econometriche non ratificano; si avrebbe un recupero della stabilità potendo esercitare gli strumenti di politica economica che l’Unione Europea, così com’è strutturata, non può, né intende usare.
Se svalutazione e inflazione dovessero affermarsi, avrebbero diverse radici rispetto allo stato della nostra economia: inciderebbero infatti la speculazione (quella che richiede d’essere governata con la linea di difesa auspicata) e la sfiducia del mercato internazionale sulle capacità dei nostri governanti. Su questo potremmo anche essere d’accordo, pur ritenendo che esistono rimedi; ma certamente non è quello di diffondere il terrorismo economico sul possibile crollo dell’euro, che può capitarci addosso senza essere noi a deciderlo, come insistentemente scrivono i giornali e i commentatori più qualificati. Spaventare, invece di rimuovere le cause od organizzare una difesa appropriata, non è una politica sufficiente per contrastare i movimenti anti-euro e anti-europeisti attuali; anche perché essi la pensano come la speculazione, ossia condividono la valutazione di un’incapacità dei nostri governanti a fronteggiare la crisi interna ed europea.
La mia conclusione è che, per allontanare il rischio di un crollo dell’euro, meglio se deciso e governato da noi, non dai mercati o da altri membri dell’eurosistema, occorre esplicitare chiaramente quali sono le richieste di riforme istituzionali che dobbiamo avanzare all’Unione Europea, insieme a un cambio di politica, che non è quella di spendere di più per assistenza, ma per investimenti infrastrutturali. Tuttavia, per avere successo nel negoziato, è necessario che la controparte sia convinta che siamo pronti al passo successivo se non venissimo accontentati. Diffondere terrore economico sulle conseguenze dell’uscita dell’euro, convincendo l’elettorato che non si debba uscire, significa partire perdenti, esattamente come siamo ora.


Commento di Francesco Zanotti
Il post del Prof. Savona mi sembra sostenga indirettamente, ma chiaramente una delle nostre convinzioni più determinate. In sintesi: le classi dirigenti non parlano di quello di cui sarebbe necessario e importante discutere, ma di quello di cui sanno parlare. Il prof. Savona richiama sane nozioni riguardante la modellizzazione matematica, ma per interloquire con lui occorre che i suoi interlocutori abbiano una qualche idea di quello di cui sta parlando.
In generale le nostre classi dirigenti dispongono di risorse di conoscenza troppo povere per discutere della complessità economica e sociale attuale.

E’ questo che genera sui media dibattiti puerili che servono solo a difendere le classi dirigenti dall’inevitabile affermarsi di ricorse di conoscenze di cui non dispongono, che non vogliono in nessun modo imparare. Studiare sembra essere una “diminutio”. Meglio continuare a dibattere di quello che si riesce a vedere con le conoscenze di cui si dispone. E il pubblico applauda ammirato. Anche se il teatro sta diventando sempre più simile alla sala da ballo del Titanic.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.