domenica 22 gennaio 2017

Non produciamo o non riconosciamo la ricchezza?

di
Francesco Zanotti

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Oggi Gianfranco Polito (con un titolo troppo pretenzioso per i contenuti dell’articolo: “Il motore spento della modernità”) sul Corriere della Sera propone una tesi che ha del vero: non riusciamo ad affrontare i “casini” (preferite la oramai inflazionata espressione “cigni neri”?) perché siamo “poveri”. Perché in Italia si è interrotto il meccanismo di produzione di ricchezza. Forse la tesi va trasformata: perché non sappiamo riconoscere la ricchezza.

Gianfranco Polito richiama i guai che provoca la disorganizzazione “formale” nella protezione civile e più in generale nella burocrazia quando accadono casini catastrofici. E sostiene che essi vengono poi mitigati dalle “organizzazioni informali” (le persone e il loro relazionarsi spontaneo) che riescono a trasformare bolse burocrazie in miracoli di generosità.
A questo punto ci si dovrebbe chiedere: ma come eliminare questa discrasia tra formale ed informale? Come è possibile fare sì che la burocrazia sia non un ostacolo, ma l’ambiente più funzionale alla generosità delle organizzazioni informali?
Invece il Nostro sostiene che la colpa è solo della mancanza di mezzi e questa mancanza di mezzi è dovuta alla nostra incapacità di generare ricchezza. Insomma, i casini nascono perché siamo troppo poveri e lo siamo perché non sappiamo più generare ricchezza (leggi: PIL).
Lasciamo stare la polemica sul salto logico (che c’entra la ricchezza con incapacità di comprensione del rapporto tra formale ed informale in una organizzazione?) ed affrontiamo il problema della nostra attuale incapacità di generare ricchezza.
Il problema è che abbiamo una profondamente scema concezione della ricchezza.
E facciamo subito un esempio di questa “scimità”.
Se una impresa produce scarpe che non venderà mai, che le sono costate e che dovrà conservare in un magazzino, che continuerà a costarle, fino a che non si saranno ammuffite e verranno buttate, si considera ricchezza (che va a formare il PIL) il prezzo a cui chi la gestisce vorrebbe venderla e che ha segnato a bilancio. Cioè si considera ricchezza un pio desiderio.
Se invece noi scriviamo su questo blog, voi lo leggete e magari lo diffondete, tutto questo “lavoro” non genera ricchezza. Se un insegnante costruisce conoscenze nella sua classe non genera ricchezza. Se tanti gruppi di persone si ritrovano a progettar il futuro non generano ricchezza.
In generale, tutte le occasioni di produzione di conoscenza non sono considerate eventi che generano ricchezza. Paradossalmente la conoscenza che riconosciamo è solo quella “museale”. Come a dire: solo gli “antichi” avevano la prerogativa di produrre ricchezza, ma noi no!
Perché scarpe destinate a finire ammuffite sono considerate ricchezza, mentre  i nostri pensieri e le nostre azioni non possono essere considerate ricchezza almeno allo stesso modo?
E’ ovviamente un assurdo! Perché difendiamo un assurdo?
Ed arriviamo al titolo pretenzioso.


Il motore della modernità è la visione del mondo tipica della modernità. Bene questo titolo pretenzioso andrebbe corretto con un “non”. “Non si è spento il motore della modernità”, occorrerebbe dire. Infatti il riconoscere come ricchezza solo scarpe ammuffite e non i capolavori che sempre generano persone che insieme parlano del futuro è proprio conseguenza del leggere la realtà con gli occhi propri della società industriale. Per completare. È proprio il leggere la realtà con gli occhi della modernità che impedisce di costruire organizzazioni formali a servizio delle reti sociali delle persone che ci vivono dentro.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.