giovedì 10 marzo 2016

Che tristezza aver ragione …

di
Francesco Zanotti
Presidente ApEC

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E che tristezza non essere ascoltati.
Visti gli attuali segnali sull’andamento del PIL comunicati dall’ISTAT, mi permetto di riproporre un post di ben otto anni fa dove si diceva esplicitamente che l’attuale economia non poteva riprendersi. E in questi successivi anni non si è ripresa: solo qualche contingente rimbalzo. Dove si diceva anche che era necessario progettarne un’altra. E si indicava come provarci.
Ecco il testo, riproposto integralmente… e un invito alla classe dirigente: perché non prova a dare una occhiata al libro che abbiamo costruito e che proponiamo nello spazio accanto a questo post? Contiene la traduzione (fatta da Lorenzo e Luciano Martinoli) di un libro che illustra il pensiero di un sociologo tedesco: Nicklas Luhmann. Il suo pensiero viene snobbato perché troppo difficile, ma descrive cosa sta accadendo .. in modo inevitabilmente non semplice, in un mondo complesso. In quel libro vi è una mia appendice che cerca di “utilizzare" il pensiero di Luhmann per poter agire dopo aver capito.
“Leggo sul Sole 24 Ore di oggi (2 dicembre 2008), a firma Carlo Basastin, un pregevole articolo dal titolo La fiducia e il costo delle riforme.
Mi ha colpito molto una affermazione, quasi una certezza, che a me sembra proprio sbagliata. E se è sbagliata rende problematiche tutte le osservazioni (non mi sembra vi siano proposte) e le esortazioni al Governo presenti nell’articolo. Come quando togliete una pietra angolare …
L’affermazione è  “Anche gli scenari peggiori contano in una ripresa globale nell’arco di 6-16 mesi.”.
Beh una prima cosa da dire è che previsioni di questo tipo lasciano perplessi. Hanno una variabilità così rilevante (16 mesi sono quasi tre volte 6 mesi) che è come se, quando andate a comprare le scarpe, dite al commesso che avete un numero tra il 32 e circa il 90. Francamente: di una previsione di questo tipo non ce ne facciamo quasi nulla.
Ma la domanda più importante è un’altra.
Si prevede, sia pure con una incertezza quasi esiziale, la ripresa dell’economia, ma: di quale economia?
Se la risposta è: di questa economia, allora è una risposta completamente errata.
La ripresa di questa economia non vi sarà. Le ragioni sono sostanzialmente due … Più tante altre …


La prima delle due è che il sistema di output (i prodotti che stanno sugli scaffali) di questa economia interessano sempre meno. Quindi dovremo attenderci un calo del Pil generato da questa economia. Non vi sarà ripresa di questi consumi.
La seconda delle due è che, anche se tutto il mondo volesse alla follia i prodotti generati dall’attuale sistema produttivo, non vi sarebbero le risorse (materie prime, energia etc.) per farli. E non vi sarebbero le risorse e l’energia per costruire il sistema di infrastrutture necessario a far viaggiare materie prime e prodotti.
E poi vi sono le altre ragioni. Citando in ordine sparso …
Le strategie di sviluppo sono sostanzialmente competitività e produttività. Ma esse portano a ridurre gli occupati nelle imprese. Si immagina, forse, che essi saranno assorbiti da altre imprese che, poi, dovranno espellerli per essere più produttive e più competitive? E se si riducono gli occupati, questi licenziati, quando diventano consumatori, dove prendono i soldi per consumare?
Forse si gioca sulla innovazione tecnologica? Ma abbiamo valutato quanta occupazione potranno generare tutte le start-up su nano e biotecnologie possiamo immaginare? E che tipo di occupazione? O pensiamo che le innovazione tecnologiche sapranno rilanciare l’interesse per i prodotti attuali, aumentandone il contenuto tecnologico?
Allora che fare se questa economia non può riprendere? Banale: progettarne un’altra all’interno di una nuova società.
Più precisamente … Non dobbiamo cercare di fare funzionare meglio le imprese esistenti. Dobbiamo progettare un nuovo sistema di imprese che costruisca un nuovo sistema di consumi. Dobbiamo progettare un nuovo sistema di servizi e di infrastrutture. Nuove istituzioni ed un nuovo modo di fare politica.
Per riuscirci? Certo non riesco a costruire una proposta complessiva, ma alcuni semplici balbettii, sì! Sarà poi la riflessione comune che trasformerà i balbettii in proposta.
Primo balbettio: dobbiamo abbandonare le parole mito. La prima è: competitività. Essa ha oramai perso il suo significato originario di “produrre maggior qualità a prezzo più basso dei concorrenti”. E’ diventata una parola-valigia che oramai sta ad indicare tutto il buono ed il bello. Tutti sono d’accordo che la competitività è un valore, ma è un valore così generico che ognuno poi propone di raggiungerla in modo diverso. Soprattutto tutti sono d’accordo sul fatto che non va bene il modo proposto dall’avversario politico o aziendale che sia.
Secondo balbettio: dobbiamo aumentare la capacità di consapevolezza e progettualità di imprese e banche.
Intendo dire che le imprese e le banche devono sapere quando i prodotti di una impresa hanno perso di senso, cosicché la competitività è strutturalmente impossibile. Ed è necessario riprogettare l’impresa, ma con una sapienza progettuale molto più intensa dell’attuale, mortificata dai confini angusti della competitività.
Terzo balbettio: dobbiamo superare le tentazione di semplificare il politico ed il sociale. Ma imparare a considerare un valore e a gestire il continuo loro (del politico e del sociale) aumento di complessità, cioè di ricchezza della società.
Quarto balbettio: ripensiamo alle previsioni. La prima cosa che dobbiamo è smetterla di prevedere. Il futuro non è costruito da qualche dio minore o maggiore. E’ frutto dei nostri comportamenti. Se viviamo una crisi che diventa sempre più grave è perché ce la siamo costruita noi e ci crogioliamo dentro. Se continuiamo ad aspettare che la crisi passi e continuiamo nei comportamenti precedenti, allora la crisi peggiorerà. Come quando ci si tira la zappa sui piedi. Per non sentire male si può solo smettere di zappettare i piedi. Se si continua, magari proponendosi di farlo competitivamente, non si può attendere che in tutti i prossimi sedici mesi ci si farà sempre male.
Balbettio finale: ma come fare a balbettare in questo modo?
Mollando la zappa. Se si tiene in mano la zappa si menano colpi … Voglio dire che oggi stiamo usando per guardare il mondo e viverci la cultura che ha fondato la società industriale: il pensiero vetero-scientifico di Galileo. Vogliamo costruire una nuova economia ed una nuova società? Dobbiamo cambiare la nostra visione del mondo di riferimento. Dobbiamo mollare la zappa.
E cosa prendiamo? Esiste una interamente nuova cassetta di strumenti (cultura, linguaggi) che viene etichettata come “complessità”. Vi sono strumenti per aumentare la consapevolezza e la progettualità di banche ed imprese. Vi sono strumenti per gestire la complessità politico sociale. Si tratta di una nuova cultura che ci spinge non a prevedere ed a costruire.”



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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.