domenica 1 marzo 2015

Ho ragione io! No, tu no!

di
Francesco Zanotti


Più seriamente: il pensiero discorsivo razionale come ideologia.
Parto da un fatto ed un articolo.
Il fatto. Ho partecipato venerdì ad un Convegno sulla Responsabilità Sociale dove ho rivisto un fenomeno che mi lascia sempre perplesso: l’ossessione che gli umanisti hanno della misurazione. Voglio “misurare tutto”. Anche se, poi, il loro concetto di misura è del tutto diverso da quello che la scienza usa: assegnare univocamente ad un oggetto del mondo un numero razionale confrontandolo con una unità di misura grazie ad uns specificata procedura che è caratterizzata da un errore ineliminabile. Vogliono misurare tutto, ma non è lo stesso misurare della scienza. E non si capisce ben cosa sia …
L’articolo: sulla Domenica del Sole 24 Ore. Mario De Caro racconta di un libro di Stefano Poggi dove si “scoprono” le radici culturali dell’astrattismo. E le si trova in un pensiero che ha come suo campione fondamentale Goethe che vede nell'arte “lo strumento più nobile per ricongiungere il singolo alla totalità infinita, alla dinamica organicità del tutto.”.
Ma quello strano (per la sua profonda competenza filosofica) è che De Caro dichiara che questo modo di pensare è oramai superato dal pensiero discorsivo razionale.

Mettiamo insieme le cose a questo modo. Sia il fatto che l’articolo (l’opinione di De Caro) che la pretesa di misura si fondano su di una visione del mondo che viene giudicata vincente,
E’ la visione riduzionistica del mondo che sta alla base della società industriale. Essa si esprime nella convinzione che il mondo possa essere analizzato oggettivamente e che esiste una modalità di ragionamento unica ed assoluta.
E’ la visione del mondo che sostiene la pretesa di verità e assolutezza di ogni ideologia. E’ la visione del mondo che porta inevitabilmente a confliggere: “Ho ragione io! No, tu no!”. E giù botte da orbi. O guerre.
Per fortuna questa visione non è per nulla vincente. Vale per aspetti molto limitati della realtà e mai in modo assoluto. Lo sappiamo da più di un secolo, almeno da quando Poincaré ha scoperto il cosiddetto problema dei tre corpi. Per tutto il resto ci stiamo incamminando proprio verso la “scoperta scientifica” della totalità e dell’organicità. Della bellezza, ambizione che ogni costruttore di teorie scientifiche importanti ha sempre covato nel suo cuore.


5 commenti:

  1. Caro Francesco,
    mi piaceva riprende la tua osservazione sull’ossessione che gli umanisti hanno della misurazione.
    Avevo partecipato ad un convegno a settembre sulla misurazione dell’impatto sociale e mi ritrovo su quanto hai detto. Però il tema di fondo rimane.
    Io penso importante misurare e valutare quello che si fa.
    Io per esempio mi occupo dei corsi di formazione per disoccupati ed è importante giustificare se questa spesa pubblica ha senso oppure no. Se io faccio un corso di formazione per 15 disoccupati e 7 trovano lavoro (ed erano disoccupati da più di 12 mesi) e ho speso per i corso 50.000 euro, posso dire che il corso giustifica la spesa?
    Il decisore pubblico ha bisogno di dati per capire come investire le risorse pubbliche e quindi c’è bisogno di fornire qualche numero.
    Per esempio i dati ormai sono concordi nel dire che non ha senso fornire all’assunzione per le imprese. Perché chi assume assumerebbe o stesso e gli incentivi sono solo aiuti alle imprese. Va benissimo aiutare le aziende, ma non pensiamo che questi soldi servano a favorire l’occupazione, non “creano” posti di lavoro. E questi dati con alcune ricerche di tipo controffatuale si riescono a dimostrare. Meglio quindi investire i soldi pubblici in altro modo.
    L’ossessione sulla misurazione serve quindi per giustificare certe attività che altrimenti rischiano di sparire o venire tagliate. Come scrivi anche nel post su ETTARDI, al di là della retorica, chi si occupa di risorse umane (o di impatto sociale aggiungo io) non riesce a spiegare esattamente perché sono “strategiche”. E allora cercano dati e numeri in modo quasi ossessivo.
    Il problema non è cercare di valutare e dare un senso a quello che si fa. Ma come si misura e cosa intendiamo con questa misura o valutazione.
    Stefano

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  2. Grazie innanzitutto delle tue osservazioni.
    Ma sono necessarie alcun precisazioni.
    Tu mi chiedi se i sette occupati siano significativi. Certo lo sono. Ma questo non da adito a sostenere una serie di cose che ha te sembrano implicazioni "naturali". Innanzitutto non si può dimostrare che il corso sia la causa dei sette occupati. Dovresti avere una legge che lega le azioni del corso al numero degli occupati. Potrebbero essere mille altre le cause. Poichè non hai questa legge non puoi neanche dire che il prossimo corso genererà altrettanti occupati. Da ultimo non puoi sostenere che non si sarebbero potuto ottenere risultatu migliori con altre azioni che non quella formativa.
    In generale, poi, i "numeri" non hanno mai convinto nessuno a cambiare comportamenti o adottarne di nuovi.
    Il management attaule è veramente solo e soltanto l'ultima area di conoscenza dove un riduzionismo folcloristico rimane vivo ...
    Se ti interessa, a tutti coloro che interessa, potrei mandare un capitolo del libro che sto scrivendo dove descrivo come tutti concetti manageriali che ci sono così cari sono fondati su una visione banalizzata della epistemologia della fisica classica. Tutti fisici classici senza saperlo.

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  3. Interessante commento. Per fortuna, però, come alternative teoretiche non ci sono solo l'olismo dinamicistico goethiano (concezione francamente obsoleta) e il riduzionismo tecnocratico.
    Per esempio, sono state sviluppate negli ultimi anni interessanti posizioni intermedie che conciliano antiriduzionismo e pluralismo, da una parte, e anti-irrazionalismo, dall'altra. Per quel che può contare, personalmente penso che sia quella la via da perseguire (e l'ho scritto molte volte, anche se in questo articolo non traspare).
    Cordialmente, Mario De Caro

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  4. Egregio Professore, la ringrazio per il suo commento. Ovviamente Ella ha ragione sull'esistenza di alterntive possibili. La mia (nostra perchè penso ad un gruppo di amici) alternativa è quella della "emergenza quantistica". Purtroppo in un post non è possibile approfondire più di tanto. Purtroppo non abbiamo ancora elaborato un documento ragionevolmente completo su questo tema. Posso solo suggerire il seguente articolo che costituisce una declinazione del nostro approccio sistemico al caso dell'impresa http://www.intcpm.net/ojs/index.php/icpm2013/article/view/17
    Su questo blog è possibile trovare altri post che "girano intorno" a questo tema. Ancora grazie ed un caro saluto
    Francesco Zanotti

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.