domenica 2 dicembre 2012

Salvare i musei e … Isaac Asimov


di
Francesco Zanotti

Si deve a Isaac Asimov, professore di biochimica oltre che scrittore di fantascienza la grande Saga della Fondazione. La storia dell’Impero Galattico in disfacimento.
Un Eroe epico, Salvor Hardin, cerca di contrastare questo declino attraverso una nuova conoscenza: la psicostoria. E’ una teoria matematico-statistica che permette di prevedere le dinamiche di grandi popolazioni umane e suggerisce il modo di indurre cambiamento in queste dinamiche. Usando la psico-storia, riesce a costringere un Impero decadente a fondare una Fondazione, all’estrema periferia della galassia, che ha come obiettivo quello di riattivare un processo imprenditoriale (l’espressione è mia) a livello economico, sociale, politico e culturale per riaccendere il fuoco dello sviluppo e generare un nuovo Impero. Non sarebbe stato possibile fare questo, al centro della galassia, sul pianeta Trantor, centro di Governo dell’Impero e sede dell’Imperatore. Neanche usando la psico-storia.
Bene in uno dei primi capitoli della vita di questa Fondazione, accade che arrivi su Terminus (il pianeta alla periferia della Galassia sede della Fondazione) un rappresentante dell’Imperatore. Asimov racconta un dialogo tra questo Signore (Lord Dorwin) e il primo capo della Fondazione (il dott. Pirenne). E’ necessario dire che il dott. Pirenne era stato scelto dalla nomenclatura dell’Impero, ne condivideva, quindi, i valori. Ma su Terminus si era sviluppata, era emersa, una nuova classe dirigente (guidata dal Sindaco di Terminus, Salvor Hardin) che aveva valori diversi. Sempre usando il mio linguaggio, valori di intraprendenza che si opponevano ai valori di conservazione dell’Impero impersonati in Pirenne e Dorwin. La conversazione che racconta Asimov aveva come tema: quale è il pianeta di origine dell’umanità? Si perché in quel lontano futuro, dove si era formato un Impero galattico, si erano perse le memorie delle origini.
Dorwin raccontava come svolgeva le sue ricerche per scoprire il Pianeta d’origine: consultava quello che gli archeologi del passato avevano scritto. Il rimestare vecchie conoscenze e rinunciare alla ricerca di nuove conoscenze. Una paura atavica di nuove conoscenze, adagiati nel mondo del passato … Il dott. Pirenne annuiva compiaciuto. Salvor Hardin replicava scandalizzato. Il risultato fu che il dott. Pirenne non si accorgesse per nulla di quanto stava accadendo su Terminus: l’emergere di una nuova società. E fu dolcemente, senza alcuna violenza, scalzato dal potere, libero di tornare alla contemplazione del passato, ma senza fare danno al presente ed al futuro.

Torniamo a noi. Anche noi vogliamo conservare il passato: il nostro patrimonio artistico e culturale. Cosa, ovviamente buona e giusta. Ma non basta. Soprattutto se questo voler conservare si accompagna ad un rifiuto, altrettanto deciso, come quello di Pirenne e Dorwin, delle nuove conoscenze che stanno emergendo in ogni dove.

Che l’attuale classe dirigente rifiuti la conoscenza è un fatto, credo, documentatissimo. E che le nostre ricerche continuamente confermano.
La rifiuta la classe dirigente “alta”: ad esempio, ministri che non usano conoscenze rilevanti per costruire sviluppo come le conoscenze di strategia d’impresa, le conoscenze sullo sviluppo degli Attori Sociali e le conoscenze, più, generali sullo sviluppo dei sistemi complessi.
La rifiuta la classe dirigente interstiziale: dal manager che si dichiara disinteressato della nuova conoscenza strategico-organizzativa perché “in tutt’altre faccende affaccendato”, all’analista finanziario che rifiuta le conoscenze di strategia d’impresa per valutare società che poi i risparmiatori devono finanziarie.
Allora difendiamo e promuoviamo pure il nostro patrimonio artistico. Ma cerchiamo e costruiamo anche quella nuova conoscenza che solo ci può permettere di capire il presente e progettare il futuro.
Noi stiamo dando il nostro contributo con i seminari che organizziamo e con i nostri blog …

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Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.