...per la società industriale
di
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
Di ritorno dall'ennesimo convegno sulla "crisi".
"Crisi".
Parola che ci trae in inganno, già nella sua morfologia nasconde la sua natura multipla: è identica sia al singolare che al plurale.
E infatti si è parlato di crisi economica, finanziaria, sociale, umana, di valori, di conoscenze, di diritti...
Voglio allora solo apparentemente cambiare discorso parlandovi di una persona, non una in particolare ma una qualsiasi che, però, non sta bene.
Ha una aritmia cardiaca seria, difficoltà di respiratorie, è diabetica, si sta debilitando. Da alcune settimane è a letto, mangia poco e, quindi, perde peso. In parole povere è in "crisi".
Di fronte ad un caso come questo chi non si mobiliterebbe per cercare di far star meglio quella persona, permettergli di ritornare come prima, di vivere normalmente, di consentirgli una "ripresa".
Ma se vi dicessi che questa persona ha 98 anni?
Certo tutti i nobili sentimenti che avete provato pocanzi rimangono intatti, diamine siamo davanti ad una sofferenza umana. Ma le motivazioni, e le aspettative, del nostro darci da fare cambierebbero radicalmente. Nessuno si aspetterebbe una "ripresa", che tornasse a fare la vita di prima, al massimo di alleviargli le sofferenze. Addirittura se ciò non fosse possibile ci augureremmo che la sua vita finisse per risparmiargli ulteriori sofferenze. Purtroppo una volta nati, poi, si muore.
Certo la morte di quella persona non significherà la morte della vita, essa continuerebbe con il figlio, il nipote, forse un pronipote che se anche avesse il suo nome, continuando una antica tradizione, darebbe l’impressione di continuare la sua di vita. Ma così non sarebbe. Quel ragazzo avrebbe sì lo stesso nome ma sarebbe una persona diversa, completamente diversa, perché avrebbe una identità nuova e diversa dal suo avo.
Sappiamo che una mosca vive al massimo 48 ore, un elefante più di un secolo, un albero può arrivare a mezzo millennio. E poi ci sono i pianeti, le lune, i soli, che hanno cicli vitali di milioni di anni ma, alla fine, anche loro muoiono e, sulla scia delle loro spoglie, spesso nascono nuove vite cosmiche.
Se questo è il destino dell’uomo, se questo è il destino delle piante, degli animali, dei corpi celesti, se è terminata la civiltà egiziana e greca, caduto l’impero romano, terminato il medioevo, estinto il rinascimento, rovinati gli imperi coloniali, gli “ismi” del secolo scorso, perché, dico PERCHE’ la società industriale dovrebbe durare all’infinito?
Io ritengo che la “crisi” di cui parliamo sia la crisi del 98enne descritto sopra. Dobbiamo alleviare le sue, le nostre, sofferenze coscienti che non ci sarà nessuna “ripresa” ma solo nuova vita caratterizzata da nuova identità. Una identità che è nostro dovere progettare e costruire, salvaguardando e conservando ciò che questo grande vecchio ci ha donato, eredità da accogliere come solida fondamenta per uno sviluppo totalmente diverso e migliore del passato.
Perchè invece si parla, in maniera miope, di ridar vita nuova ad una presona di 98 anni?
Supponiamo ora che il grande e glorioso 98enne sia morto, cosa significa “concepire nuova vita”?
Già il porsi la domanda è preoccupante. Siamo nella situazione di quella persona che essendosi presa cura di un padre o una madre o qualsiasi caro per anni, nel momento in cui scompare, si accorge che il senso della sua vita era proprio quella occupazione.
Immersi totalmente nel paradigma industriale, in quella idea di "macchina" che ha pervaso tutta la nostra esistenza, nel glorioso ricordo del suo funzionamento ottimale, e dei benefici che, munifica, distribuiva su tutto il genere (una parte) umano, non sappiamo immaginare altro che una sua “ripresa”.
Noi siamo ciò che pensiamo e se dobbiamo iniziare a progettare qualcosa di diverso, radicalmente diverso, dobbiamo iniziare dai pensieri, dal dotarci di nuovi strumenti cognitivi, gli unici che potranno aiutarci a concepire “nuove vite” sociali.
All'inizio della seconda guerra mondiale il Regno Unito versava in una situazione economica drammatica, il cibo scarseggiava, le bombe tedesche iniziavano a piovere su Londra e altre città inglesi. In udienza col re Giorgio VI per decidere cosa fare in quel terribile frangente della nazione Churchill disse: Non abbiamo più denaro, non abbiamo più tempo, è ora di pensare.
Incoscienza o lungimiranza? Quanti avrebbero liquidato questo comportamento come "poco concreto"?
E' invece è vero proprio il contrario.
La concretezza non è altro che il sinonimo di ciò che si sa: vedo “concreto” quello che capisco, capisco quello che so. Dunque rifiutare nuovi pensieri ci imprigiona in una gabbia che ci siamo costruiti inibendoci nuove e più potenti “concretezze”.
Ecco che allora l’affannarci a mettere a posto l’oggi, per poi riservarci domani di pensare, è sterile perché così facendo il domani sarà ancora peggio di oggi. Fare progetti per aggiustare ciò che c’è, per poi riservarsi dopo di costruire il nuovo, è illusorio perché ciò che c’è si romperà con sempre maggior frequenza e disastri. Affannarsi dietro le urgenti contigenze quotidiane, riservandosi di pensare “quando si avrà tempo”, non farà altro che aumentare le urgenze e quel "tempo" non verrà mai.
Allora affrettiamoci al capezzale del vecchio per evitare a lui, e a noi, inutili ulteriori sofferenze, ma al tempo stesso smettiamola di parlare di sua "ripresa" che non ci sarà mai. Pensiamo alla nuova vita da concepire e far nascere, a partire dai nostri pensieri, con nuove risorse cognitive, nuova conoscenza, unica strada concreta per costruire futuro e generare nuova vita.
E' una visione comune per pochi. Promuoviamola
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