venerdì 30 dicembre 2011

A proposito di “Cresci Italia”

di
Cesare Sacerdoti

E’ indubbio che l'Italia, ma anche l'Europa e l'Occidente in generale, stiano vivendo un momento molto difficile dal punto di vista economico, ma ancor più dal punto di vista sociale: in questo blog abbiamo sostenuto più volte che quella attuale è solo una delle manifestazioni di una ecologia di crisi che il mondo attuale sta vivendo.
L'atmosfera che si respira in Italia in questo momento è resa ancora più cupa dalle continue notizie negative che provengono dalla nostra situazione economico finanziaria e dai continui annunci di nuovi sacrifici richiesti ai cittadini per evitare il fallimento del paese; e questa sensazione è ancor più acuita dal contrasto con le informazioni che ci venivano somministrate quotidianamente fino a sei mesi fa, quando ci veniva detto che la crisi, ammesso che ci fosse mai stata, era alle spalle. D'altra parte, per dirla come Bruno Arpaia “ormai una notizia è una notizia solo se inocula una sottile dose di paura”.
Ma in questo fosco panorama, anche le buone notizie stentano ad emergere o non vengono prese in dovuta considerazione: alludo per esempio ai dati Istat del 13 dicembre che segnalano come nei primi nove mesi di quest'anno l'export nazionale ha avuto una crescita del 13,5%.
Ricordo inoltre le considerazioni del professor Marco Vitale all'assemblea ATEMA di aprile 2011, in cui si sottolineava come la quota percentuale italiana delle esportazioni mondiali nel settore manifatturiero sia rimasta praticamente costante al 3,9% dal 2000 (così come la quota tedesca che era rimasta costante al 6,5%, mentre gli Stati Uniti scendevano dal 24,8 al 15,1 e il Giappone dal 15,8 all'8,9) e che su 14 settori monitorati dal WTO, la Germania mediamente al primo posto seguita dall'Italia che risulta prima o seconda in 7 settori su 14.
Ma, allora, l'Italia non ha un problema di competitività o almeno non ce l'ha in quei settori in cui riesce ad esprimere prodotti innovativi o caratterizzati da una qualità difficilmente raggiungibile in altri paesi.
Se questo è vero, allora il problema italiano non risiede tanto nella competitività ma nella capacità di incrementare il numero di aziende che sappiano esprimere tali caratteristiche. Simon e Zatta in “campioni nascosti” sostengono che “Il modo più semplice in cui un'azienda possa diventare padrone di un mercato consiste nel crearne uno. Idealmente, si tratta di un mercato che non esiste ancora e viene creato o definito dal nuovo prodotto. Inoltre, l'unicità del prodotto deve essere sostenibile scongiurando a tutti i costi l'imitazione o la creazione di mercati simili”.
Tornando alla notizia del 13 dicembre, vediamo che, in effetti, la quota totale (non solo manifatturiera) percentuale italiana sulle esportazioni mondiali è scesa negli ultimi sette anni da circa il 4% a circa il 3%: questo allora significa che ci sono molti settori non manifatturieri, nei quali l'Italia non riesce più ad esprimere la differenza rispetto ad aziende di altri paesi. Se inoltre consideriamo che il totale delle esportazioni nei primi nove mesi del 2011 è di circa 280 miliardi, che corrisponde a circa 370 miliardi su base annua, vediamo che queste rappresentano meno del 25% del PIL nazionale.
Ci permettiamo quindi di  suggerire che il problema dell'Italia non è tanto “ liberalizzazioni e mercato del lavoro” quanto quello di diffondere nuove conoscenze che permettano lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali che consentano di creare nuovi mercati in cui le aziende italiane possono svilupparsi, crescere, affermarsi e diventare leader mondiali. E questo è l'augurio al nostro paese per il 2012.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.