mercoledì 20 ottobre 2010

Un Expo della conoscenza come stimolo e contesto all’Expo 2015

Lettera aperta a tutte le persone, le forze politico-sociali e le istituzioni che hanno a cuore l’Expo 2015.

L a storia dell’Expo è arrivata ad un giro di boa fondamentale. Non solo perché si è risolto il problema delle infrastrutture e perché è arrivata l’approvazione del BIE, ma, credo, soprattutto, perché è iniziata una nuova stagione di responsabilità sociale complessiva: la responsabilità di collaborare a riempire di contenuti le strutture.
Si tratta di una stagione nelle quale finalmente possiamo compiere il passo decisivo che attendiamo da decenni: il passaggio dalla protesta alla proposta. Ed a proposte di ampio respiro, capaci di costruire un nuovo sviluppo etico ed estetico e non strumentali a qualche interesse ed a qualche ideologia.

L’obiettivo di questa lettera è quello di iniziare a interpretare questa responsabilità con una proposta concreta “di sistema”.

Lo stimolo che ha mobilitato la mia riflessione è l’annuncio, fatto in una intervista al Sole 24 Ore di oggi (20 ottobre 2010) dal dott. Sala, che verrà costituito un Centro per lo Sviluppo Sostenibile. “Se il parco bioclimatico sarà la principale eredità fisica, il centro sarà quella immateriale” ha dichiarato il dott. Sala.

Credo che oramai sia evidente che l’avvio di una nuova stagione di sviluppo, che la cultura attuale definisce come “sostenibile”, non può avvenire all’interno del paradigma della società industriale. Intendo, all’interno dell'economia, della socialità, della politica e delle istituzioni tipiche della società industriale. Per avviare un nuovo sviluppo, è necessario immaginare una nuova società (una nuova economia, una nuova socialità, una nuova politica, nuove istituzioni).

Ora, ogni società nasce da una specifica visione del mondo. La visione del mondo che sta alla base della società industriale è una “ideologizzazione”, una assolutizzazione  della visione del mondo e della scienza di Galileo.

Il percorso per riuscire a progettare e realizzare una nuova società ha, allora, un punto di partenza obbligato: occorre cambiare la visione del mondo che sta alla base della società industriale. Se si continua ad utilizzare quella  stessa visione del mondo, si riuscirà, al massimo, a fare funzionare meglio la società industriale. Ma la società industriale è “naturalmente” insostenibile. Quindi, il farla funzionare meglio allontana dall’obiettivo di costruire quella sostenibilità che è diventata una urgenza evidente a tutti.
Detto più popolarmente, se indosso gli occhiali della società industriale (la visione del mondo che ne sta a fondamento), sempre la società industriale vedrò come modello ideale, unico. E da quello non riuscirò a schiodarmi. Anzi, cercherò in tutti i modi di aggiustiucchiarlo, fino a raggiungere paradossi incolmabili di non sense.

Nel corso degli ultimi due secoli, nell’ambito delle stesse scienze che hanno avuto origine dal pensiero di Galileo, è diventato evidente che la visione della scienza e del mondo del Nostro non ha valore assoluto (non può essere  la visione del mondo definitiva), ma è valida solo per alcuni aspetti della realtà. Accanto a questa visione del mondo ne sta, da due secoli appunto, emergendo un’altra il cui archetipo (almeno nella mia opinione) è costituito dalla meccanica quantistica. Questa visione della scienza e del mondo, che sta emergendo, assume diverse “intonazioni” nelle diverse scienze.
Una delle “conquiste” di queste nuove scienze è l’ipotesi di Gaia. Cioè la visione della Terra come un grande organismo unitario. Sono evidenti i suggerimenti che questa nuova visione del Pianeta che abitiamo può dare sia alla progettazione del Parco bioclimatico (i diversi “biotopi” possono essere presentati come sottoinsiemi ed ologrammi di Gaia) sia alla impostazione del problema dell’alimentazione (la produzione di alimenti deve essere un processo integrato nelle dinamiche complessive di Gaia, indicarne, costruire una nuova direzione evolutiva)
Tutti questi contributi stanno generando una scienza “trasversale” che possiamo definire “Sistemica”, “metafora della complessità”, “scienza della complessità”.

Il processo di formazione  di una nuova visione del mondo non è, però, completato. Non disponiamo ancora di una nuova visione del mondo così definita che possa costituire l’ispirazione e la risorsa fondamentale per progettare ed implementare una nuova società dove vengano naturalmente a soluzione tutte le sfide che oggi sembrano invincibili.

Se questa nuova visione del mondo non è ancora pienamente emersa, allora la sfida fondamentale attuale (che, poi, è quella che sta dietro, al fondo, sullo sfondo di ogni altra sfida, compresa quella dell’alimentazione) è quella di farla emergere, perché senza di essa il processo di creazione di una nuova società non può neanche avviarsi.

Questa carenza di una nuova visione del mondo e questa urgenza di colmarla costituiscono una epocale (propria della nostra epoca) opportunità.

Noi abbiamo immaginato un processo attraverso il quale costruire questa nuova visione del mondo. Lo abbiamo definito: Expo della conoscenza. Io personalmente ho scritto un volumetto che descrive in dettaglio come la costruzione di una nuova visione del mondo sia la sfida fondamentale per costruire sviluppo (che io preferisco definire etico ed estetico, anziché sostenibile) e quale possano essere i passi concreti per arrivare a dotarci della una nuova visione del mondo di cui abbiamo necessità assoluta ed operativa.

Il primo passo dovrebbe essere una settimana di confronto tra tutti i protagonisti delle nuove scienze nel cui grembo sta emergendo una nuova visione del mondo e quali possono essere le sue caratteristiche e le sue potenzialità per costruire una nuova società.

Già questo primo passo farebbe di Milano il luogo evidente ed unico di avvio del processo esplicito di costruzione di una nuova società. Nella storia esistono esempi di Eventi di questo tipo che hanno segnato l’avvio di ere nuove nella conoscenza , nell’economia, nella società umana. Forse l’Evento più significativo è costituito dalle Macy Conferences.

I passi successivi (come vengono descritti nel mio volumetto) consoliderebbero il ruolo di Milano di città capace di generare un vero e proprio Rinascimento. Milano come la Firenze e la Milano dell’ultimo Rinascimento scorso.

Crediamo che l’organizzazione di un Expo della conoscenza possa essere avviata immediatamente e possa costituire il contesto e la risorsa fondamentale perché i contenuti dell’Expo, lo svolgimento che l’Expo farà del tema dell’alimentazione, conseguano non solo un successo di pubblico, ma diano il via anche a tutti quei cambiamenti che possono realizzare una nuova visione ed una nuova prassi per l’alimentazione dell’uomo.

L’avvio e la realizzazione di un Expo della conoscenza avrebbe anche altre ricadute, lascerebbe altre eredità decisive.
La nuova visione del mondo, che l’Expo della conoscenza ha l’obiettivo di creare, si condenserebbe nella scoperta delle dinamiche autonome di evoluzione dei sistemi umani (dalle imprese alle istituzioni). In particolare permetterebbe di scoprire quali siano i meccanismi profondi dell’imprenditorialità. Permetterebbe, inoltre, di scoprire quali siano le metodologie di Governo adatte a gestire questi processi autonomi di sviluppo. E permetterebbe di immaginare quale sistema di servizi sarebbe necessario per tutti coloro che volessero usare questa nuova filosofia e prassi di governo dei sistemi umani.

Allora, a Milano, si potrebbe sviluppare una nuova generazione di imprese che renderebbe disponibile al mondo intero il sistema di servizi necessario a sviluppare una nuova società che non sarà solo sostenibile (è una condizione necessaria), ma sarà anche etica e “bella” da tutti coloro che l’hanno progettata, costruita e la vivono.

Milano, insomma, come luogo in cui si sviluppa la cultura e la voglia di costruire una nuova società. Come luogo che organizza un Expo per raccontare e chiamare a realizzare una nuova filosofia e prassi di alimentazione. Come Attore che rende disponibili a tutti il mondo i “segreti” (gli strumenti: una nuova generazione di servizi) per costruire sviluppo.

3 commenti:

  1. Credo che dopo oltre 2 anni e mezzo di balletto su come spartirsi la torta, in cui i veri affari li hanno fatti i palazzinari e gli amici degli amici degli amici (Compagnia delle Opere) queste chiacchiere non siano assolutamante credibili e giungono assolutamante fuori ogni tempo massimo dettato dalla decenza.

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  2. Dimenticare Galileo, come "Dimenticare Cartesio", un illuminante saggio di Francesco Pullia da poco nelle librerie. Ovvero superarli entrambi aprendo la mente a un orizzonte nuovo.

    Limitare l'Expo al consumo alimentare, cioè allo *stomaco*, e immaginare per il dopo Expo un orto condominiale per un quartiere di lusso mi pare di per sé uno spreco. Nutrire il pianeta significa anche, direi soprattutto, nutrire la *mente* (Milano dovrebbe ambire a diventare dopo l'Expo il principale e più prestigioso distretto universitario dell'area mediterranea) e nutrire il *cuore* (sia nell'ambito del sostegno allo sviluppo dell'area a sud del mediterraneo - che potrebbe risorgere se solo l'Europa superasse la logica protezionistica e si aprisse ai mercati, sia nell'ambito culturale, delle arti e dello spettacolo).
    Milano ha nel suo dna tutte le carte per diventare una capitale della creatività, e questa visione per l'Expo, Expo della conoscenza, è credo la più affascinante e ricca di prospettive tra quelle emerse nel dibattito di questi anni.
    Grazie quindi e buon lavoro!

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  3. è un "lavoro" che è anche un dovere...perchè se non ci mobilitiamo per un grande progetto sistemico, nulla rimarà se non contare i cocci...ma, non è solo una ragione in negativo a spingerci ma anche una in positivo. ovvero quella di realizzare noi stessi ed i nostri tempi. con la fortuna di vivere nel momento di maggiore floridezza economica e intellettuale e tencologico raggiunto fino ad ora...dopo decenni di pace, e tanto buon cibo.
    ....la bellezza la giustizia e la libertà camminano insieme.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.