mercoledì 26 maggio 2010

Ripensiamo ... profondamente


Nel polverone sollevato dalla manovra economica in discussione, vorrei buttare lì una sintesi del guaio che stiamo vivendo che mi sembra evidentissima, ma che nessuno vede.

Abbiamo a che fare con una coperta troppo corta e con soluzioni che sembrano sempre più difficili.

Guardando solo Il Sole 24 Ore di oggi, martedì 25 Maggio 2010, viene riportata una osservazione di Luca Cordero Di Montezemolo che mi permetto di riassumere con libertà: “Abbiamo reclamato che l’Euro era troppo forte, ed ora che è debole, invece di approfittare di questa opportunità, reclamiamo ancora … Però, in effetti, è vero che un Euro debole aiuta le esportazioni, ma è altrettanto vero che penalizza gli acquisti di materie prime”. La coperta troppo corta.

Nello stesso giornale di oggi, si legge un articolo di Giorgio Barba Navaretti che si conclude con la seguente proposta “Rafforzare la competitività del vecchio continente coordinando le politiche strutturali è l’unica via per riprendere ad allargare la torta di tutti”. Ma, dico io, quanto tempo ci vuole a raggiungere questo obiettivo? E, nel frattempo, come fanno le imprese a pagare gli stipendi? Con l’aiuto dello Stato? Soluzioni difficili e coperta corta insieme .

La convinzione che siamo alle prese con una coperta troppo corta viene confermata dai commenti che si leggono sui giornali del giorno dopo, quando appare più definita la urgente manovra economica proposta dal Governo in concomitanza con simili manovre in molti altri Paesi Europei.
Francesco Giavazzi scrive che servono tagli di spesa strutturali (pensioni, sanità assistenza) e non contingenti (incassi una tantum, blocchi temporanei di stipendi pubblici, chiusura di finestre pensionistiche. Ma sempre tagli di spesa sono, a causa di una coperta che rimane sempre più corta.

Quando la coperta è troppo corta la soluzione più naturale è allargala. Anche perché il tagliare, cioè il cercare di far stare la nostra attuale società sotto l’attuale coperta di valore, non funziona. Lo sostiene anche Robert Zoellick (il Presidente della Banca Mondiale) su Il Sole 24 Ore del 26 maggio, dove scrive, riferendo l’esperienza di molti paesi in via di sviluppo che sono riusciti a costruire sviluppo, che la strada per uscire dalle crisi non è quella dei tagli, ma quella della progettazione di una strategia di prosperità sostenibile.

Per arrivare a capire che la via dei tagli può essere solo una strategia contingente, forse, non era  necessario scomodare cotanti personaggi: bastava chiedere a qualunque nostro piccolo imprenditore (anche al pizzicagnolo sotto l’angolo) per essere informati che se le cose vanno male, si posso tagliare i costi, è vero. Ma la strategia più desiderabile è quella di aumentare i ricavi …

Ma come si possono aumentare i ricavi? Macro economicamente, il valore prodotto dal nostro Paese? Non mi lascio trascinare dalla tentazione di gridare a gran voce che il PIL non può misurare il valore prodotto non solo per tutte le nobili ragioni che già proponeva Bob Kennedy negli anni ’60, ma anche perché banalmente nel PIL ci sono anche i fatturati delle imprese in perdita! Ma la tentazione è tanta …

Ad ogni modo, per il mio ragionare, basta un concetto intuitivo di valore, forse basta anche la misura del borsellino: quando lo apriamo, come facciamo a far sì che sia sempre più pieno e non sempre più vuoto?

Se leggete il pregevole libricino scritto da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi dal titolo “La crisi. Può la politica salvare il mondo?”, essi propongono una loro ricetta in tre punti. Per avere più soldi disponibili serve che lavorino più persone, oppure che ogni persona lavori più tempo, oppure che ogni persona lavori più efficientemente. Più paludatamente: occorre cercare competitività e produttività.

Bene, tenete a mente questa strategia e pensate ad un impresa (descritta anni fa dal prof Sartori sul Corriere della Sera ) che produce scarpe ad un costo di 17 Euro il paio (franco fabbrica) e si trova a competere con concorrenti cinesi che gli sdoganano scarpe del tutto equivalenti al porto di Livorno a 2 Euro il paio. E ditegli: insomma devi far lavorare più persone (invece di licenziarne un po’), far lavorare più lungo le persone (tanti begli straordinari, invece che metterle in cassa integrazione), farle lavorare più intensamente,(così otterrà di riempire sempre di più il magazzino di scarpe che non venderà mai, anche se, forse, riuscirà a farle costare qualche centesimo in meno).

Conclusione? Quale manovra economica fare? Non voglio fare alcuna proposta ora. Chiedo solo a chi frequenta questa comunità: che ne pensate di queste riflessioni che a me sembrano così evidenti? Domanda drammatica perché se sono evidenti anche a voi, allora siamo veramente nei guai: sono evidenti a tutti, tranne che ad
esperti e politici …

1 commento:

  1. Buongiorno, ero venuto per leggere la risposta al dubbio generale espresso ieri. E, oltre a trovare piuttosto autoriferita la risposta che mi è stata data - non sembra che sia stata data una risposta esplicita e chiara alla domanda che ponevo, ma solo che vi si sia girato intorno con un lungo messaggio-, beh mi ritrovo questo bel commento che condivido a cui però non può che seguire la domanda: ci aspettiamo almeno una prima proposta, pur da discutere ed approfondirre, da parte di chi guarda il mondo con occhi diversi, perchè altrimenti, manca, ancora una volta la parte costruens- quella concreta, puntuale che da proposte operative e non generiche critiche o invocazioni. Aumentare i fatturati, aumentare gli utili (o quel che vi pare)..ma come e con quali conseguenze?
    scusate di nuovo. mi avete incuriosito, ma non persuaso.
    G.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.