domenica 29 marzo 2009

Crisi, strategia, Expo e terme della conoscenza

Il Sole 24 Ore del 28 marzo 2009, quasi a contrastare i dati drammatici dell’Istat sull'andamento della produzione industriale e degli ordini, comincia, pur cautamente, a diffondere ottimismo.
Il messaggio traspare da molti articoli: “Dalla finanza un inizio di risveglio” di Fabrizio Galimberti, l’intervista ad Andrea Moltrasio di Carmine Fotina, le dichiarazioni di Passera nell'articolo di presentazione dei messaggi pubblicitari prossimi venturi di Intesa San Paolo.
In questi articoli vengono indicati segnali di ripresa che dovrebbero controbilanciare i dati Istat e vengono indicate strategie per uscire dalla crisi.
Purtroppo a me sembra che questi segnali non parlino di ripresa e le strategie che vengono proposte per uscire dalla crisi non riescano a costruire un nuovo sviluppo.
Anzi, mi sembra che rivelino che non si ha interesse né a capire, né ad uscire dalla crisi, ma solo a conservare il presente.

Userò questi articoli come “casus belli” per proporre un nuovo e diverso modo di guardare alla crisi che indubbiamente stiamo vivendo. Guardando da questo nuovo punto di vista, diventeranno chiare quali possono essere le strategie per uscirne.
Forse questa visione e queste strategie sembreranno “trasgressive”, certo poco paludate. Ma chiedo a tutti i lettori che le troveranno “strane” di non buttarle solo perché non le riconoscono. Provino a confutarle, scopriranno che l’unica obiezione che riusciranno a formulare sarà solo e soltanto quella di essere strane.

Inizio dai “segnali”di ripresa che non indicano ripresa: il pallido risvegliarsi negli USA del mercato della casa, la ripresa degli scambi finanziari e degli scambi complessivi, inflazione bassa, diminuzione del prezzo della benzina, la sensazione che riprende a crescere la fiducia, le previsioni dell’ufficio studi di Confindustria.
Perché non sono segnali di ripresa? Perché indicano solo che il mondo non si può spegnere del tutto. La gente ha sempre bisogno di abitare. Le istituzioni finanziarie, almeno quelle non fallite non vorranno certo smettere di fare il loro lavoro. Gli scambi di merci, dopo uno stop di dimensioni irragionevoli, non possono azzerarsi.

Per capire ancora più profondamente quanto questi segnali non indichino quello che si vuol far loro indicare, occorre guardare in modo diverso alla crisi.
La crisi non nasce nella finanza e, poi, si propaga all'economia reale. Essa nasce nell'economia reale: produciamo prodotti che interessano sempre meno e sono sempre meno sostenibili. Detto diversamente, il calo della domanda, al di là degli eccessi e dei ritorni contingenti, è strutturale: deriva da disinteresse, quando non da fastidio, per i prodotti attuali. In più, abbiamo un sistema produttivo e di distribuzione che è sempre meno sostenibile. Quando l’economia reale perde di significato, allora la finanza diventa per forza autoreferenziale e si perde nel costruire castelli di carte che stanno in piedi fino a che nessuno ci soffia contro.

La visione della crisi che sto proponendo può sembrare completamente controcorrente. Ma non è così.
Molti esperti si stanno convincendo che è quella corretta. Ne cito uno per tutti: il prof. Raghuram Rajan della Chicago University il quale ritiene che la causa dell’eccessiva liquidità stia nella carenza d’attività reali nelle quali investire. Ma anche sui media essa inizia a fare capolino.

Anche i media iniziano a proporre la stessa mia visione della crisi. Paola Bottelli, sullo stesso Sole 24 Ore del 3 marzo 2009, in un articolo il cui titolo è un ottimo riassunto del contenuto - La moda ai tempi della recessione: così enfatica, così distante-, descrive come le sfilate della settimana della moda, conclusa appena prima del 3 marzo, abbiano presentato capi progettati solo per lo spettacolo mediatico. Osserva che si tratta di uno spettacolo che, anche se riesce ad andare in scena con squilli di trombe, non potrà risollevare il mercato. Conclude letteralmente: “Molti imprenditori e top managers temono che ora i consumatori siano disposti a fare shopping solo con listini tagliati del 20-25%”.

Se si accetta questa visione della crisi e delle sue origini, allora, “eventi” come quelli proposti come segnali di ripresa negli articoli citati, non indicano che stiamo uscendo dalla crisi, ma ne confermano l’origine che ho provato ad indicare. Il calo dell’inflazione, ad esempio, non indica certo che i consumi stanno esplodendo. E consumi che non esplodono non possono essere addebitati solo a paura. Anche perché alcuni non esplodono, ma altri continuano a calare, altri crescono. Calano quelli che interessano sempre meno e crescono quelli che interessano di più.

Ma, se questa è la vera dimensione della crisi che stiamo vivendo, allora le strategie che vengono proposte per affrontarla sono strategie di conservazione. Dare puri e semplici incentivi alle imprese o maggiore finanza le spinge a continuare a fare quello che si è sempre fatto attendendo che qualche demiurgo o “locomotiva” (gli USA, la Cina etc.) rimettano in moto la macchina di un’economia che non è cambiata di una virgola. Far pagare i suoi debiti alla pubblica amministrazione non è certo negativo, ma non rende interessanti prodotti che non lo sono più o lo sono molto meno di prima. Regolamentare i mercati è certamente utile, ma non cambia il sistema produttivo e dei servizi.

Cosa è necessario fare?
Parto dal generale: è necessario avviare un grande sforzo di riprogettazione dal basso del nostro sistema economico. Una riprogettazione che ha come obiettivo quello di ridisegnarne la mission e i sistemi d’offerta, l’organizzazione delle imprese. Ma questa riprogettazione non è una selezione di “mercati, prodotti e processi” come dice Galimberti, ma è una creazione. Una selezione si fa tra cose che esistono già. Mentre oggi è necessario costruire imprese, economie e società nuove. Le cose nuove si possono solo creare perché, per definizione, non esistono ancora.

E’ necessario scendere ancora più nello specifico.
Per avviare questo processo di riprogettazione occorre un nuovo sistema di servizi di consulenza alle imprese che non cerchi di vendere piccole specializzazioni inutili, ma che offra una nuova cultura strategica capace di moltiplicare la capacità progettual-generativa degli imprenditori.
Questa nuova cultura strategica dovrebbe essere la risorsa fondamentale che il sistema bancario utilizza per giudicare se un’impresa sta rivoluzionando se stessa, tanto da farle ricuperare la sua capacità di produrre valore. E di più: per supportarla nello sviluppare business plan rivoluzionari.
Questa nuova cultura strategica dovrebbe avere valenza generale. Dovrebbe essere lo strumento fondamentale per riprogettare non solo l’economico, ma anche il sociale, il politico, l’istituzionale.
Forse allora il termine cultura strategica è troppo limitato. Forse è più corretto parlare di una nuova cultura di governo dello sviluppo.

Ma esiste questa nuova cultura strategica, questa nuova cultura di governo dello sviluppo? La risposta purtroppo è: no!
Lo stato dell’arte della cultura strategica è, per quanto riguarda l’accademia, in uno stato di stallo. Se si leggono le più recenti sintesi degli studi sulla strategia d'impresa si trovano, fondamentalmente, considerazioni di impotenza: non sappiamo bene cosa sia un’impresa, come evolva nel tempo e, conseguentemente, come gestire questa evoluzione. Ne cito uno dove troverà numerose dichiarazioni di impotenza: "Handbook of strategy and management" curato da Andrew Pettigrew, Howard Thomas e Richard Whittington.
Per quanto riguarda i “pratitioners” lo stato dell’arte dell’utilizzo della cultura strategica rasenta l’ignavia. Un solo esempio: definire un business plan “Info memorandum” è davvero la dichiarazione, sostanziale se non formale, che la nostra conoscenza riesce solo a descrivere il presente, a prenderne atto.
Se si guarda a più generali culture e pratiche di Governo lo scenario è ancora più deludente, sia nella teoria che nella pratica.

Se così è, allora si scopre una priorità nuova: è necessario sviluppare questa nuova cultura strategica, questa nuova cultura di governo dello sviluppo che io credo sia lo strumento fondamentale per uscire dalla crisi.

Noi (io ed alcuni amici) abbiamo provato a fare qualche primo passo. Siamo partiti da tutte quelle nuove metafore e quei nuovi modelli che sono nati negli ultimi cento anni nelle scienze della natura (matematica, fisica, biologia etc.), che formano la “cultura” della complessità e che stanno rivelando come culture fino ad oggi pensate opposte, come le culture orientali ed occidentali, siano, invece, solo contributi complementari a comprendere il fenomeno “uomo”, con la sua volontà di socialità e di destino.
Riflettendo su queste metafore, cercandone una sintesi, siamo riusciti a comprendere quali sono le dinamiche di sviluppo delle imprese e di tutti gli altri “sistemi umani”. Partendo da questa scoperta sia riusciti a elaborare metodologie per governare queste dinamiche. E le stiamo proponendo ad imprese ed istituzioni.

Ma è solo un inizio.
Occorre uno sforzo più complessivo. Avanzo, allora, una proposta per indicare come questo sforzo potrebbe moltiplicarsi: organizzare un'Expo della conoscenza. Intendo: un momento in cui si presentano in modo estensivo e collaborativo tutte i modelli e le metafore della complessità, se ne cerca una sintesi più vasta e completa di quella che noi abbiamo solo intravisto. E si declini questa sintesi in una nuova cultura dello sviluppo dei sistemi umani e di governo degli stessi. In particolare in una nuova cultura strategica dalla quale nascano nuove metodologie di governo dello sviluppo di imprese e sistemi economici.

Un'Expo della conoscenza può realizzarsi in tempi brevi e con poche risorse. E produrre risultati più rilevanti di qualunque Expo’ che costruisca palazzi ed illusioni di sviluppo.

La proposta dell’Expo può , forse “deve”, nascere dal basso. Essa può essere avviata, spiegata, diffusa in mille luoghi, dove si possa preparare questo grande evento. Sto parlando di mille comunità virtuali. Ma anche di luoghi fisici. Un amico mi ha proposto di realizzare le “terme della conoscenza”. Un luogo dove, contemporaneamente, si ricerchi il rilassarsi del corpo e della mente. Il rilassarsi del corpo attraverso le cure termali. Il rilassarsi dello spirito ammirando la nuova conoscenza che sta sviluppandosi intorno a noi e che è pressoché sconosciuta.

Sto rileggendo il post … Parte nella macro economia e finisce nell'estetico  Ma è un menare il can per l’aia? E’ un male? Credo di no perché sono convinto che l’unica via di sviluppo efficace sia quella che parta ad una riscoperta completa ed integrale, non solo pensata, ma vissuta, dell’umano.

3 commenti:

  1. davvero molto bello ed entusiasmante, quasi un manifesto.
    Farlo circolare e vederne i riscontri, costruire la compagnia dell'anello e poi via via, chiedere ai popoli di tutte le terre di ricostruire il futuro, facciamolo. Diamoci, con tutti, un appuntamento Pasquale. Giorno simbolo, per l'ocidente almeno, (al di là della religione di ciascuno) di resurrezione e rinascita. perchè no. venga chi vuole, ditelo a tutti.

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  2. SALVADANAIO ROTTO

    Nuova società, nuova economia

    La società è emanazione del pensiero dei suoi componenti con le lodo idee, bisogni, pulsioni, desideri. La società che è entrata in crisi dapprima era stata costruita da persone, come noi educate nel dopoguerra, anni ’50, da una generazione genatoriale che era abituata a conquistarsi le cose con sacrificio, fatica, accumulo di risparmio, prudente investimento, equilibrio tra le spese per il consumo e gli immobilizzi in beni durevoli.

    Noi , pur consapevoli di queste teorie economiche, a poco a poco ci siamo fatti travolgere da una spinte al superconsumo ( un consumo che prevede spese più elevata dei guadagni previsti).

    Dapprima abbiamo raggiunto un livello di spesa uguale al reddito, salvo qualche assicurazione, poi abbiamo iniziato ad indebitarci per cose durevoli, case, restauri, o semi durevoli, auto.. poi siamo passati ad indebitarci per spese correnti, vacanze viaggi, elettrodomestici , pagamento tasse a causa del fatto che avevamo già speso.

    Non si poteva non farlo, tutti lo facevano, nessun ente, nessun partito diceva più di risparmiare, nessuno più regalava cassettina salvadanaio ai bambini…..

    Quindi bisogna ritornare a comportamenti consoni, che sa la teoria del risparmio, anche se l’ha disattesa torni a praticarla, ma facciamo di più, insegnamola ai figli che abbiamo mancato di informare di questo piccolo particolare, accecati dal vitello d’oro.

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  3. SALVADANAIO ROTTO

    Nuova società, nuova economia

    La società è emanazione del pensiero dei suoi componenti con le lodo idee, bisogni, pulsioni, desideri. La società che è entrata in crisi dapprima era stata costruita da persone, come noi educate nel dopoguerra, anni ’50, da una generazione genatoriale che era abituata a conquistarsi le cose con sacrificio, fatica, accumulo di risparmio, prudente investimento, equilibrio tra le spese per il consumo e gli immobilizzi in beni durevoli.

    Noi , pur consapevoli di queste teorie economiche, a poco a poco ci siamo fatti travolgere da una spinte al superconsumo ( un consumo che prevede spese più elevata dei guadagni previsti).

    Dapprima abbiamo raggiunto un livello di spesa uguale al reddito, salvo qualche assicurazione, poi abbiamo iniziato ad indebitarci per cose durevoli, case, restauri, o semi durevoli, auto.. poi siamo passati ad indebitarci per spese correnti, vacanze viaggi, elettrodomestici , pagamento tasse a causa del fatto che avevamo già speso.

    Non si poteva non farlo, tutti lo facevano, nessun ente, nessun partito diceva più di risparmiare, nessuno più regalava cassettina salvadanaio ai bambini…..

    Quindi bisogna ritornare a comportamenti consoni, che sa la teoria del risparmio, anche se l’ha disattesa torni a praticarla, ma facciamo di più, insegnamola ai figli che abbiamo mancato di informare di questo piccolo particolare, accecati dal vitello d’oro.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.